L’interattività entra ai Musei Vaticani. La Sala Studio Azzurro

Lo scorso 28 settembre, chi scrive ha avuto la fortuna di assistere all’inaugurazione della Sala Studio Azzurro, che entra a far parte in maniera permanente della Collezione di Arte Contemporanea dei Musei Vaticani. Siamo stati accolti nella Sala Matisse, circondati dai cartoni preparatori che l’artista francese dipinse per la Chapelle du Rosaire di Vence e scrutati a destra dalla possente Madonna calcarea di Lucio Fontana. Ad attenderci una breve presentazione, durante la quale molte parole vengono spese in ricordo di Paolo Rosa, anima visionaria e co-fondatore nel 1982,  insieme a Fabio Cirifino e Leonardo Sangiorgi (entrambi presenti in sala) di questo progetto di ricerca, in cui vengono indagate le potenzialità espressive e poetiche delle nuove tecnologie. Paolo è purtroppo scomparso nell’agosto del 2013 ed è una sovrapposizione significativa il fatto che l’evento d’inaugurazione della sua ultima opera si tenga proprio in questa giornata, che coincide con il suo compleanno.

I tre Fondatori di Studio Azzurro; Da sinistra: Leonardo Sangiorgi, Paolo Rosa e Fabio Cirifino. Foto di Elisabetta Catalano © Studio Azzurro

I tre Fondatori di Studio Azzurro; Da sinistra: Leonardo Sangiorgi, Paolo Rosa e Fabio Cirifino. Foto di Elisabetta Catalano © Studio Azzurro

L’opera che viene presentata è “In Principio (e poi)”, realizzata originariamente nel 2013 in occasione della 55esima Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, dove fu inaugurato il primo Padiglione della Santa Sede che come tema centrale della sua narrazione aveva i primi undici capitoli della Genesi. Il padiglione era costituito da tre sezioni concepite a partire da alcune riflessioni del Cardinale Ravasi (Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura): la Creazione, affidata a Studio Azzurro e con la quale saremo chiamati ad interagire, la De-Creazione, affidata al fotografo ceco Josef Koudelka, e la Ri-Creazione, interpretata dall’artista di Melbourne Lawrence Carroll, presente anch’egli tra il pubblico.

Particolarmente coinvolgente è stato ripercorrere le vicende che hanno portato alla realizzazione dell’opera, rivivendole nel ricordo che le varie personalità coinvolte conservano di quei giorni, le quali avvicendandosi al microfono, sono state in grado di trasmettere anche una certa emozione, nel sottolineare quale duro colpo sia stato la perdita di Paolo Rosa. Come quando Micol Forti (Curatore della Collezione d’Arte Contemporanea dei Musei Vaticani) ha rivelato che, ispirato da dall’esperienza alla Biennale, era nei progetti di Paolo inaugurare una serie di installazioni che trattasse le tante e diverse modalità in cui il tema della genesi può essere declinato; un progetto che purtroppo la sua prematura morte non gli consentirà di realizzare, ma che si spera possa trovare sviluppo adesso che il testimone è passato a suo figlio Cesare.

L’inserimento dell’opera di Studio Azzurro nel percorso espositivo dei Musei Vaticani rappresenta una svolta epocale all’interno della stessa concezione dei Musei, che da oggi non saranno più esclusivamente luoghi della conservazione e della memoria, ma si aprono all’interattività ed al futuro, contribuendo com’è nello spirito dello studio stesso – alla stimolazione di un tipo di memoria diverso, quella memoria che ha radice nell’esperienza collettiva, nella condivisione insieme agli altri fruitori di uno spazio e di un tempo.

La Sala Studio Azzurro nei Musei Vaticani, Foto Alessandro Prinzivalle © Musei Vaticani.

La Sala Studio Azzurro nei Musei Vaticani, Foto Alessandro Prinzivalle
© Musei Vaticani.

Quando finalmente ci immergiamo all’interno della complessa narrazione di “In Principio (e poi)”, veniamo introdotti in una sala caratterizzata da un pannello centrale, poggiato a terra, che ha il compito di intercettare i movimenti di tutto ciò che lo attraversa, dando luogo a configurazioni circolari sempre diverse: è qui che entriamo in contatto con il “Principio”.

Vediamo, successivamente, tre pannelli, rispettivamente accostati alla parete centrale ed alle due pareti laterali: qui troviamo, invece, i “portatori di storie”, uomini e donne che ci guardano e che aspettano di essere fermati dal nostro tocco per attivarsi e raccontarsi. Così, dopo un primo momento di incertezza e di stupore, ci facciamo progressivamente coraggio ed a poco a poco tutti partecipiamo alla rottura della consueta modalità di fruizione delle opere d’arte ed annulliamo la distanza: iniziamo a toccare!

Allunghiamo le mani contro le pareti sensibili di Studio Azzurro, intercettiamo un uomo, poi una donna, li fermiamo ed aspettiamo che premano i loro palmi contro lo schermo, per poi sovrapporre le nostre mani alle loro. E a quel punto, quando i portatori di storie sanno di avere la nostra attenzione e il nostro tempo, quando sono sicuri della nostra disponibilità a dialogare con loro, solo allora, essi iniziano a raccontare.

Nel pannello frontale, “E poi… senza spazio e senza tempo (gli uomini)”, i detenuti del carcere di Bollate parlano delle loro genealogie familiari: “I miei nonni erano contadini”, mi dice uno, “I miei bisnonni non me li ricordo tanto.. ma va bene così”, racconta un altro. E, nel frattempo, si instaura una profonda connessione emotiva con l’opera, non esiste più un “noi” ed un “loro”, ma tutti entriamo a far parte dell’unicum che costituisce l’opera, di cui siamo co-creatori.

Del resto, come ha sottolineato Leonardo Sangiorgi, la volontà profonda del progetto di ricerca è di scardinare il ruolo dell’artista e dell’opera come soggetti/oggetti distanti. “I nostri progetti -ci spiega- sono uno stimolo a non confinarci come artisti sulla montagna, nella solitudine delle nostre speculazioni, ma di essere in questa piazza di mercato dove poter incontrare ed incontrarci e poter continuare a raccontare”.

“E poi... senza spazio e senza tempo (gli uomini)”, parte dell'installazione dedicata ai detenuti del carcere di Bollate. Foto Selenia Marinelli.

“E poi… senza spazio e senza tempo (gli uomini)”, parte dell’installazione dedicata ai detenuti del carcere di Bollate. Foto Selenia Marinelli.

A questo punto, volgiamo il nostro sguardo ed il nostro tocco verso le pareti laterali, dove sono rappresentati rispettivamente “E poi… senza parole (ambiente)” e “E poi… senza parole (gli animali)”, con i quali, come suggerisce lo stesso titolo, siamo invitati ad interagire senza parole con dei sordomuti che plasmano lo spazio davanti a sé mimando, con il linguaggio dei gesti, elementi del mondo animale e vegetale. E’ un tipo di dialogo diverso, al quale non siamo abituati, che ci strappa un sorriso quando vediamo mimare le movenze di una scimmia, ma che è in grado di commuoverci quando viene imitato lo spiegarsi di due ali in volo. Cerchiamo, stupiti ed incuriositi, di comprendere la complessità dei loro messaggi e, cosa più importante, non ci soffermiamo solo sull’opera, ma volgiamo lo sguardo anche verso chi, accanto a noi, sta vivendo la nostra stessa esperienza, ancora una volta interrompendo il distacco contemplativo e privato che solitamente si vive nella fruizione di qualsiasi opera d’arte e aprendoci quindi al confronto con l’altro.

Foto di Selenia Marinelli.

Foto di Selenia Marinelli.

La vera rivoluzione delle opere di Studio Azzurro, infatti, sta proprio nel creare esperienze sinestetiche ibride, in cui la percezione naturale dei sensi viene mescolata con quella artificiale data dalle videoinstallazioni, favorendo un’esperienza di soglia dove il rapporto opera-utente subisce uno slittamento percettivo: l’asse di interesse si sposta dall’oggetto al processo, dal manufatto alla sua conseguenza. Il tutto avviene attraverso processi interattivi che incorporano, come ci ha ricordato con il suo intervento il Cardinal Ravasi, l’idea che Paul Klee aveva dell’arte, come di  qualcosa che “non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è”,  quindi l’opera diventa evento aperto e riprogrammabile.

Foto di Selenia Marinelli

Foto di Selenia Marinelli

Tante sono le emozioni vissute in quel pomeriggio, ma un ultimo grande shock emotivo ci viene riservato quando ci è concessa la possibilità di una visita alla michelangiolesca Cappella Sistina, in assenza del caos dato dai tanti visitatori giornalieri. Qui ci perdiamo nel guardare in tutte le direzioni, sopra, di lato, ed è come essere risucchiati in una vertigine. Anche qui siamo posti al cospetto di una grande narrazione, in cui il linguaggio pittorico virtualmente sfonda la cornice per esplodere all’esterno e diventare scultura, architettura, vita. Una conclusione perfetta e simbolica di una giornata indimenticabile, nella quale abbiamo vissuto il corto circuito di passare dal tocco delle superfici sensibili di Studio Azzurro al tocco della Creazione di Adamo.

Co-writer | Selenia Marinelli

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