Architecture Beyond The Cupola – invenzioni e progetti di Dante Bini in un nuovo libro di Pugnale e Bologna

Bini, l’architetto delle cupole, Bini l’architetto della Cupola (quella della casa di Michelangelo Antonioni e Monica Vitti). All’incirca ciò è quanto in genere noto del lavoro dell’architetto nato nel 1932 a Castelfranco >.

Che Dante Bini abbia costruito cupole, è innegabile, ma limitarsi a questo vorrebbe dire ingabbiarlo in un mito mediatico che non gli renderebbe pieno merito: dietro alle cupole infatti c’è una affascinante ricerca costruttiva e architettonica praticamente sconosciuta e ancora meno compresa.

Dante Bini è invece una figura singolare, come singolare è il suo lavoro: Bini sembra possedere la capacità di trovarsi al centro degli eventi, ma riuscendo al contempo a celarsi, rimanere sfuggente. Muovendosi rapido da un’intuizione a un’altra lascia sempre tracce dense e significative del proprio passaggio che se in un primo momento attraggono istintivamente per la curiosità che si dedica alla stravaganza, solo con pazienza e studio riescono a essere compresi a fondo. 

Furio Nordio, Experimental Binishell house project, 1967. Ground-floor and first-floor plans (disegno AP) (sinistra) Dante Bini, Villa Antonioni Binishell, Costa Paradiso di Gallura, 1969–1971 piante e foto di Diana Lancillotti

Bini è stato ed è imprenditore, innovatore, inventore, o semplicemente architetto, ma nel senso etimologico: quello di capo costruttore.

Un architetto con una chiara visione del proprio tempo, forse uno dei pochi ai quali si possa attribuire questa definizione tanto usata quanto abusata, e uno dei pochi, forse l’unico dopo Nervi, il cui lavoro partendo dall’Italia abbia raggiunto una diffusione mondiale. Un architetto ben consapevole della rivoluzione che il mondo, e quindi l’architettura, stava attraversando, delle sfide imposte e delle opportunità offerte dalla nuova società di massa, a cui sceglie di rispondere mettendo al centro del suo lavoro i temi della costruzione e della produzione; affrontandoli però con un interesse tutto particolare: l’automazione del processo costruttivo, o per usare una sua definizione “l’automatismo di cantiere”.

Da qui muove la sua architettura. Il materiale, la posa in opera, l’assemblaggio degli elementi convenzionali o innovativi sono subordinati alla logica dell’automazione. Il manufatto e la sua forma ne sono il risultato, una particolare new architectural formulae come la definiscono Pugnale e Bologna scrivendo che nel design di Bini: “Technical and technological innovation determined a structural form, which, consequently, informed the architectural form.”

Furio Nordio, Industrial Binishell building, Imperia, 1969. Drawings and photographs from a Binishells spa catalogue di Dante Bini.

Costruendo cupole Bini ha serializzato e reso replicabile la costruzione complessa di strutture avanzate, apportando un contributo originale allo sviluppo della ricerca strutturale; ha letteralmente definito un archetipo, contribuendo a dare forma costruita alle visioni delle fronde più radicali della ricerca architettonica che indagavano nuove forme di abitare. Cogliendo il carattere più innovativo del periodo ha costruito l’utopia e l’ha resa praticabile e quotidiana.

Con questo suo procedere, fatalmente, Bini ha intersecato i temi caratterizzanti un’epoca, l’ottimizzazione strutturale, la prefabbricazione, la serializzazione ma anche la ricerca di una nuova figuratività coerente con le nuove potenzialità del costruire; e ne ha dato un’interpretazione inedita, con la libertà e la spregiudicatezza di chi considera altro il suo fine: il costruire. Il resto, tecniche e linguaggi, sono mezzi, strumenti, arnesi del mestiere. 

Architecture Beyond The Cupola – Inventions and Designs of Dante Bini”, di Alberto Pugnale e Alberto Bologna è per questo un libro necessario.

Necessario perché ci svela la figura di Bini, la creatività a tratti geniale, le assonanze le dissonanze verso quanto si andava sperimentando e le particolarità del proprio approccio.

Non sono certo mancati in questi anni una serie di studi sul lavoro di Bini, ma anche nel caso di contributi scientificamente approfonditi si è trattato di letture parziali, per lo più incentrate sugli aspetti costruttivi o sull’analisi di qualche sua singola opera. Mancava una lettura organica come questa che tentasse una sistematizzazione del lavoro di Bini, nelle sue diverse componenti tanto teoriche che costruttive e architettoniche

Ma il libro è necessario anche perché tenta di colmare, con una lettura generale della architettura delle strutture sottili in calcestruzzo, un vuoto della cultura architettonica italiana restia ad accettare l’idea che il processo costruttivo possa essere già progetto di architettura.

Dopo una precisa delimitazione, anche terminologica, del campo di indagine gli autori definiscono un contesto e una chiave di lettura: quella inedita e sovversiva fusione tra ricerca strutturale e ricerca architettonica, structural art secondo la definizione di David Billington, con i suoi rapporti fluidi tra calcolo, materiali e design, form resistant e form finding, che proprio negli anni Settanta aveva raggiunto risultati ancora oggi insuperati con le opere di Buckminster Fuller, Frei Otto, Heinz Isler, Eero Saarinen, Sergio Musmeci, limitandosi ai protagonisti più noti. 

Pugnale e Bologna, in 200 pagine dense di analisi accompagnate da un ricco apparato di immagini e documenti originali, ci conducono poi con una serie di letture alla prima fondamentale intuizione di Bini: poter sollevare da terra il calcestruzzo e l’armatura metallica gonfiando un telo pneumatico. Nascono così le cupole leggere della famiglia dei Binishells. Gli autori ripercorrono l’evoluzione del pensiero di Bini tanto dal punto di vista tecnico quanto architettonico, fino a elevare il sollevamento pneumatico a principio costruttivo autonomo.

Questa è l’essenza del sistema Binishells e dei successivi Binisystems: Minishells, Binix e Pack home systems; un’essenza carica di conseguenze costruttive e architettoniche. 

Un non senso costruttivo come lo definì Mario Salvadori, che ha portato ai limiti l’impiego del cassero pneumatico nella costruzione di cupole leggere in calcestruzzo, già sperimentato da Wallace Neff, Eliot Noyes e dallo stesso Salvadori a partire dagli anni antecedenti la seconda guerra mondiale, e che “automatizzando” il processo costruttivo introduce l’inedita categoria della “architettura autoformante”

Le cupole circolari Binishells dall’inconfondibile sesto ellittico con freccia di un terzo della luce, generano un archetipo. Un archetipo costruttivo secondo la definizione di Guido Nardi, o archetypal hut secondo quella di Ada Louise Huxtable scelta dagli autori, un archetipo che doveva essere riempito di contenuti, di senso, di figuratività e linguaggio propri.

Un lavoro di definizione tipologica e figurativa di uno spazio staminale non convenzionale, puntualmente analizzata nel libro attraverso gli strumenti del design: la ricerca delle potenzialità distributive ed espressive della pianta circolare, la formazione delle aperture, il rapporto col suolo, l’aggregazione di singole unità (cellule), in aggregazioni (organismi) “pluricellulari”, e ricondotta ancora una volta al contesto, a quella una sorta di fascinazione corale per la cupola e le superfici voltate, realizzate con qualsiasi materiale, che va dalle cupole pneumatiche in materiale plastico del Fiberthin Village di Wright e delle opere di José Miguel de Prada Poole, a quelle in pietra o laterizio di Fabrizio Caròla, a quelle miste calcestruzzo e laterizio delle Escuelas de Belas Artes dell’Avana di Ricardo Porro Roberto Gottardi e Vittorio Garatti, limitandosi ad un elenco forzatamente incompleto. 

Dante Bini, Il Binisix, sistema di costruzione di cupole leggere pianta sezione e foto di un prototipo 1976.

Pugnale e Bologna non mancano di cogliere il ruolo di protagonista e di regista che Bini si è ritagliato all’interno di questo processo che a tutti gli effetti è un processo collettivo autenticamente pop, perseguito con l’attività della Binishells spa in Italia e successivamente con la Bini Consultants Australia, le due società create da Bini per commercializzare i suoi sistemi, e che ha visto coinvolti collaboratori e utilizzatori del sistema Binishells nella costruzione di una grammatica e di un lessico per l’archetipo creato da Bini: progettisti, tra gli altri, come Michael Godwin e Jonh Faber, Furio Nordio, Riccardo Merlo, Mario de Franchis, Bonfiglioli Evangelisti e Vacchi, Anna d’Alessandris Pazzi e Angelo Berardi.

Ma la ricerca di Pugnale e Bologna non si limita a ridare il giusto riconoscimento al lavoro di Bini e a collocarlo a pieno titolo tra i grandi protagonisti dell’epoca, lo studio continua seguendo gli sviluppi attuali dentro le nuove potenzialità offerte dal digital design e la sfida posta dai nuovi requisiti prestazionali e normativi e il valore dentro il nuovo filone della free form architecture, condotta da Nicolò Bini, il figlio, che prosegue la ricerca di Dante.

Dipanare l’incontenibile narrazione di Bini, in cui si mischiano inestricabilmente ricordi, aneddoti, intuizioni ancora in attesa di una soluzione applicativa, non deve essere stato un lavoro semplice, come non deve essere stato semplice inquadrare il suo poliedrico e sfuggente fare.

Ma gli autori di Beyond Cupola vi sono riusciti come “accerchiando” Bini con il suo contesto per far emergere ciò che per lo stesso Bini è quasi scontato, e che invece assume nel racconto critico il gusto rilievo.

Mentre assistiamo a un rinnovato interesse verso il mondo della free form architecture, sulla spinta della ormai evidente necessità di rinnovare i modi di pensare e costruire l’architettura in termini sostenibili, e grazie alle possibilità offerte dalla progettazione digitale e dalla costruzione robotizzata; nello stesso momento in cui molte cupole di Bini o costruite con il sistema Binishells sono state demolite, o stanno per esserlo, “Architecture Beyond The Cupola – Inventions and Designs of Dante Bini” ne afferma il valore, riprende e afferma una lettura, un metodo, che potrà essere utile per i futuri approfondimenti, e pone le basi per le mi auguro prossime discussioni, che l’esuberante personalità di Dante non mancherà di stimolare ancora.

Carlo Dusi | external contributor

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