Roma caput mundi, Roma città eterna. Tanti gli aggettivi usati per questa città, esempio unico al mondo di una stratificazione storica millenaria. Una storia con la quale rapportarsi rappresenta per noi architetti una sfida tanto affascinante quanto difficile e che è stata usata spesso per celare immobilismo e miopie da parte dell’amministrazione – basti pensare alle polemiche che hanno accompagnato la costruzione del nuovo museo dell’Ara Pacis di R. Meier. Eppure, negli ultimi decenni, abbiamo visto la contemporaneità arrivare fin dentro al tessuto storico.
In generale si è trattato della ricerca del cosiddetto “effetto Bilbao”, in cui la costruzione di singolarità architettoniche firmate da un’archistar di fama internazionale può innescare più ampi processi di rigenerazione urbana.
Ma si impone una riflessione attenta sulla reale portata innovativa di tali opere e sulle relazioni che esse sono state in grado di instaurare con il tessuto circostante. Interessante in questo senso quanto scritto da Antonino Saggio nel 2009 in occasione dell’inaugurazione del MAXXI di Zaha Hadid (Navi mobili e immobili su On&Off n. 12).
In un momento come questo, in cui l’attuale modello di sviluppo e di globalizzazione mostra tutte le sue contraddizioni e la sua insostenibilità, non solo dal punto di vista ambientale ma anche economico e sociale, ci chiediamo se sia ancora pertinente applicare questa logica, figlia di tale modello, e soprattutto alla realtà urbana di Roma. Emerge sempre più forte la necessità di trovare strategie alternative a una globalizzazione imposta così come l’abbiamo finora conosciuta.
Le riflessioni sul rapporto tra “globale” e “locale” non sono una novità (il termine “glocalizzazione” risale agli anni ottanta e novanta) e rispetto alla nostra disciplina «è evidente a tutti quanto sia interna alla natura stessa dell’architettura la sovrapposizione continua e non lineare di istanze tecniche e funzionali locali – dovute ai materiali, ai metodi produttivi, alle tradizioni – e di immagini globali, legate di volta in volta al succedersi delle epoche, degli stili, delle rappresentazioni dei poteri e delle religioni dominanti», come scrive Pippo Ciorra (l’Utopia glocale, in Glocal, a cura di Franciscu Sedda, Sossella, 2004). Ciò che però diventa innovativo è pensare al ruolo che hanno oggi, di fronte all’attuale crisi, le nuove tecnologie informatiche nel ridefinire i termini della negoziazione tra dimensione globale e locale. La parola chiave è “sistemico”.
Se da un lato l’Information technology ha reso il mondo più “piccolo”, accelerando i processi di globalizzazione, essa si è rivelata uno strumento formidabile per creare reti globali di comunità locali geograficamente e sociologicamente circoscritte, dotate di specifiche identità. In questo quadro, il globale da canone universale alla ricerca di un compromesso con il “genius loci“, quale era stato per il movimento moderno, si fa sistema in grado di accogliere spinte dal basso e di guardare al fiorire di tante esperienze che fanno di Roma, un laboratorio urbano in grado di esportare nuovi modelli di città, dinamica, interconnessa seppur forte dei suoi valori identitari.
Davide Motta | nITro
Roma è unica proprio perché non c’è una sola Roma.