
Samuel Mockbee Rural Studio, Goat House, Sawyerville E AL / 1996 (foto T. Hursley – Rural studio.com)
Tetto era una parola espunta dal nostro vocabolario. Si poteva parlare di piastra, di copertura, di piano o superficie ma non, mai, di “tetto”. Perché? Il perché era semplice. La rivoluzione meccanica e modernista doveva essere basata su morfemi astratti: colori puri, superfici o setti che dovevano essere montati con regole astratte e asimmetriche. La composizione da una parte richiamava il sentire quadridimensionale e dinamico delle avanguardie artistiche e, dall’altro, garantiva l’affinità con la funzionalità della macchina cui tutta la rivoluzione architettonica del Movimento moderno voleva appartenere.
Era quindi un mondo di morfemi astratti, un mondo senza figure! Infatti non solo era eliminato il tetto, ma anche il portico, la finestra, il basamento, il portone, la finestra. E non erano eliminati solo le forme…proprio le parole erano eliminate. Quanto l’architettura pre-Movimento moderno poteva “nominare” gli elementi della costruzioni, e allo stesso tempo indicarli nella fabbrica – ecco quello è il basamento, vedi il camino? ecco il porticato e soprattutto ecco il tetto – quanto quella Modernista non poteva né indicare, né nominare.
Si pone così «in maniera chiara la base di un’architettura “astratta” che ancora non era mai stata, con così precisa evidenza, teorizzata e praticata. Nell’architettura meccanica e industriale non solo non esistono più forme base (schemi tipologici fissati a priori), strumenti sintetici di controllo della visione (simmetria, proporzionamento, prospettiva) ma neanche più figure riconoscibili (il tetto, la finestra, l’edicola, il portico). “Esistono solo segni astratti, senza significato proprio, che vengono, come nei quadri dei pittori o nelle creazioni degli scultori, accostati in nuovi dinamici insiemi.” (Antonino Saggio, Architettura e Modernità Carocci, 2010 p. 61)
Abolire il tetto come figura e come nome era quindi un obbligo imprescindibile per i nuovi architetti modernisti. La ragione prima era, come abbiamo detto, l’adesione al mondo e ai valori della meccanica astratta, da cui derivava una questione di gusto e a cui era connessa, ma molto secondariamente, una ipotesi funzionale (il famoso tetto giardino di cui esistevano pochi esempi in rapporto alla sterminata presenza di tetti piani e brulli).
L’ esclusione del tetto fu talmente forte che anche un architetto che era stato un vero e proprio maestro di tetti, Frank Llyod Wright, dagli anni Trenta del Novecento in poi li bandì dalla sua architettura: non poteva rischiare di essere additato come un architetto del passato. Falling water o le Usonian houses hanno tutte anche nel rigido clima in cui sorgevano un tetto rigorosamente piano.
Come mai allora vogliamo parlare di tetti?

Samuel Mockbee Rural Studio, Bryant House, Mason’s Bed AL, 1995 (foto T. Hursley – Rural studio.com)
Innanzitutto, oggi non siamo più convinti della esistenza di una separazione tra astrazione e figurazione. Abbiamo da decenni ormai imparato che possiamo creare architetture interessanti ibridando parti decisamente “astratte” e parti “figurative”. Personalità come Venturi, come Rossi, come Moore, hanno fatto vedere come avere una architettura figurativa e, anche se queste architetture ci appaiono ridondanti, non siamo più pregiudizialmente spaventati da questo uso del tetto. Personaggi come Gehry, di tanto in tanto, ibridano presenze figurative con altre informali e astratte.
In altri architetti, penso ad Antoine Predock, il tema del tetto invece richiama un sentire cosmico, sembra voler segnare la misura tra il vivere umano e l’universo.
Ma in nessuna esperienza come quella del Rural studio il tetto diventa elemento decisivo del progetto e in nuce il significante dell’intera operazione.

Samuel Mockbee Rural Studio, Akron Pavilion, Akron AL, 1997 (foto T. Hursley – Rural studio.com)
Come sapete [1], l’esperienza di Rural Studio si basa sulla sensibilità di Samuel Mockbee che è stato architetto e docente del sud degli Stati Uniti. Nella ampia operazione tanto di supporto e aiuto sociale alla popolazione di Newbern in Alabama, che di progettazione e autocostruzione. Sambo identifica proprio nel tetto l’elemento decisivo dell’operazione: decisivo tanto dal punto di vista spaziale che da quello simbolico. Il tetto ogni volta si piega, si inventa, si trasforma per indicare il convergere su questo elemento architettonico di una realtà complessiva e simbolica: attraverso il tetto una famiglia distrutta dalla povertà e dall’indigenza si ritrova e ricomincia, una comunità di donne si ricostruisce, una miserevolissima casa pollaio, diventa quasi una astrazione palladiana nel fango del fiume.

Samuel Mockbee Rural Studio, Goat House, Sawyerville E AL / 1996 (foto T. Hursley – Rural studio.com)
Antonino Saggio | nITro
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