Il suono delle ossa. 2 – Tentazioni quantiche

“Studiare la musicalità di una architettura o la chiarezza architettonica di una composizione musicale, al di là dell’utopia della reciproca metamorfosi, resta un esercizio di lettura non solo legittimo ma promettente e fruttuoso per attingere alla segreta unità dell’universo creativo ..

La vocazione musicale di un’architettura o la vocazione architettonica di una composizione musicale si rivelano anzitutto attraverso la mediazione della soggettività e il meccanismo della memoria involontaria”.

Paolo Portoghesi, Leggere e capire l’architettura

l'architettura è uno zufolo disegni dai taccuini 2000

Marcello Sestito, L’architettura è uno zufolo

Il Villalpando con le sue regole di proporzionamento armonico ispira sul medesimo argomento Nicolas Goldman che a sua volta influenza i progetti sonori di René Ouvrard per il suo trattato Architecture harmonique del 1679 in cui compare un progetto di palazzo gentilizio nel quale sono praticati dei corridoi a vento che lo fanno vibrare sonoramente secondo un effetto flauto (viene in mente la torre sonora di Mendini musicata da Davide Mosconi per Gibellina, o alcune opere sulla spiaggia della Scuola di Valparaiso), e che a questo modo rendono precisamente gli intervalli musicali… impiegati nelle proposizioni del progetto dell’edificio … mai realizzato”. [1]

Se Claude Bragdon ha interpretato musicalmente il Portale di San Lorenzo in Damaso a Roma, l’ultimo piano di Palazzo Giraud, palazzo Vendramin a Venezia, e la cornice della Farnesina, non è escluso che ormai di questi e altri edifici non si possa sentire il loro nascosto suono in una sorta di architettura “epistaltica” cara ad un Rotella.

Da inserire in queste note la figura di Michael Maier che nel suo noto testo Atalanta Fugiens, in piena enfasi post rinascimentale riproduce il tempio della musica dove tra canne d’organo a forma di torrette cilindriche e scale armoniche, (sempre sulla scorta dell’ Utrisque cosmi historia di Robert Fludd), posto in sommità di questa stranissima costruzione sonora individua e restituisce una magnifica rappresentazione del senso dell’udito che si apparenta per intensità visiva a quella ancora più nota del Kircher riportata nella Musurgia Universalis, dove trombe acustiche attraversano sezioni murarie trasportando il suono dalla piazza fino in bocca ad una statua ‘parlante’!

E sembra di sentire la voce di un Gianni Rodari: “Ecco la casa musica, è fatta di mattoni musicali, di pietre musicali. Le sue pareti, percosse da martelletti, rendono tutte le note possibili … ma non si tratta solo di una casa. C’è tutto un paese musicale che contiene la casa-pianoforte, la casa celeste, la casa fagotto“.

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Athanasius Kircher, Il tempio della musica. Immagine tratta dal Musurgia Universalis (1650)

Iannis Xenakis responsabile diretto con Le Corbusier del progetto per un padiglione Philips è la figura che più di altre chiarisce il legame che unisce musica e architettura, argomento che non a caso dà il titolo ad un suo lavoro editoriale.

Il padiglione a forma di stomaco, giusto per ritornare al rapporto corpo architettura, esprime inconfutabilmente alcune concezioni spaziali sviluppate in seguito da Xenakis, anche se con minore forza e vigore espressivo del padiglione del 1956. Alla sua musica stocastica, capace cioè di rapportarsi direttamente alle regole della dimensione probabilistica, si affianca un’opera di architettura che sarà coerente con tali principi. Finalmente si potrà pervenire alla razionalizzazione numerica e quindi ad un controllo grafico razionale di una nube di suono, cioè “un entità ancora intesa come massa … Identifichiamo i suoni puntuali, per esempio il pizzicato, con le molecole; otteniamo una trasformazione omomorfa dal campo fisico al campo sonoro. Il movimento individuale dei suoni non conta più. L’effetto massa e la sua evoluzione assumono un senso del tutto nuovo, valido, quando il numero di tali suoni è abbastanza elevato. Cogliamo tutta la portata di questo arricchimento del pensiero musicale che sconvolge qualsiasi modo di pensare la composizione (melodica o seriale)”. [2]

Avvalendosi di una lunga e precisa inchiesta sui metodi compositivi del passato da Pitagora ad Aristosseno, da Platone a Rameau, a Hucbald, Zerlino; avvalendosi del pensiero greco di Epicuro, confrontato con le teorie corpuscolari della materia Xenakis approda al suo metodo stocastico (utilizzato per la prima volta da Daniel Bernoulli) o il passato metodo aleatorio che accetta il caso come un principio o un modo di essere (Epicuro).

Sorvolando anche per la nostra oggettiva difficoltà, i metodi di rappresentazione scientifica offerti da Xenakis, si approda ad una singolare definizione di architettura dettata, come nel caso dell’opera Metastasis, che ha suggerito tre anni dopo l’idea architettonica del Padiglione Philips che Le Corbusier gli aveva chiesto di disegnargli, da principi di natura musicale.

Sostanzialmente tradotti tridimensionalmente nell’immaginare un edificio costituito nella struttura e nella forma solamente da paraboloidi iperbolici e da conoidi e che fosse autoportante.

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Le Corbusier, Iannis Xenakis, Croquis n°11. Disegni generativi per la progettazione del Padiglione Philips

Fino a questo momento, – riferendosi al Padiglione Philips – queste superfici non erano mai state utilizzate in una sintesi d’insieme che escludesse le pareti verticali e un’ossatura estranea alla loro natura”. [3]

Architettura volumetrica la definisce l’autore, come una nuova architettura rivoluzionaria ricorrendo forse ad un uso improprio del termine, se non proprio pretenzioso.

Lo sforzo è teso verso un’integrazione delle arti visive e uditive che già incontriamo nella volontà progettuale di Le Corbusier: “lo scopo del mio intervento non è fare un locale in più nella mia carriera ma creare con voi un primo ‘gioco elettronico’ , sincronico in cui la luce, il disegno, il colore, il volume, il movimento e l’idea formino un tutto sbalorditivo ma, naturalmente accessibile alla folla.” [4]

A proposito della messa a punto dei pannelli di vetro del convento di santa Maria della Tourret così puntualizza: “è stata fatta da Xenakis, un ingegnere divenuto musicista e che attualmente lavora come architetto al 35 di rue de Sèvres. Si trovano qui riunite tre favorevoli vocazioni: la tangenza tra musica e architettura tante volte invocata a proposito del Modulor si trova questa volta scientemente espressa in una partitura musicale di Xenakis, Metastasis, composta con il Modulor che quindi rapporta il suo valido contributo alla composizione musicale”. [5]

Questa dichiarazione d’intenti è rapportabile con i risultati raggiunti ad esempio da una Giustina Prestento che unisce nell’elaborazione delle sue opere artistiche tre linguaggi: segnico-visuale, dinamico-performativo e sonoro-musicale. [6]

Il mio lavoro (sostiene l’autrice) ha per fine il ricomporsi e il sintetizzarsi in un’ “opera” in cui i tre linguaggi cercano un’unità, un nuovo codice plurimo”. [7]

Le ombre delle partiture proiettate sui corpi in movimento e pareti cercano una simbiosi tra le arti messe in gioco fino a definire una nuova partitura che trova nello spazio l’unica incontestabile matrice comune e accomunante. “La stesura della sintesi grafica diviene quasi l’esecuzione di una musica muta” (Crispolti).

Fotografato e proiettato, questo spartito “interpretativo” ritorna ad essere, invece, una sorta di spartito da interpretare da parte del danzante attore (attrice) dell’azione che compie l’opera”. [8] Proiettata, questa “ombra della musica” attraverso i suoi segni grafici, “si crea … uno ‘spettro’ grafico o diagramma che è traduzione della propria emozione, che rimandando al brano musicale conserverà … una desinenza autoctona grafica, artistica, estetica”. [9]

Sostanzialmente un nuovo alfabeto. Così come nuovo alfabeto può considerarsi “L’utopia linguistica di Velimir Chlebnikov” [10] che tenta nei suoi esperimenti di “scientificizzare l’arte e poetizzare la scienza. Come ci fa notare Carla Solivetti “dal 1912 Chlebnikov inizia ad indagare il valore semantico di ogni singolo fonema alfabetico e nel corso di un decennio arriva a compilare un sistema, “l’alfabeto della mente”(azbuka uma) o “alfabeto dei concetti” … Chlebnikov definisce le lettere dell’alfabeto russo secondo formulazioni geometrico-spaziali ricorrendo a termini che rientrano negli ambiti semantici dello spazio (asse, superficie, cerchio, altezza… ), del movimento (virata, svolta, oscillazione). Restituisce così alla lettera la rappresentazione grafica del suo significato, evidenziando i suoni dell’alfabeto come “l’essenza del nome dei diversi aspetti spaziali, l’elenco dei casi della vita dello spazio”. [11]

Questa estremizzazione compiuta da Chlebnikov mirata al cuore del linguaggio produce una sinestesia tra le discipline messe in gioco, la lettera si musicalizza, si geometrizza, si matematizza, diventando a sua volta componente essenziale di un mondo di forme i cui confini labili generano frequenti scantonamenti in altri ambiti: uno “spartito totale” è quello che propone l’autore in cui nel luogo di origine delle idee le potenzialità sono latenti, un alfabeto insomma, generante poesia, musica, architettura indifferentemente proprio perché ha trasceso la rigidità degli ambiti specifici. Come per un nuovo Pitagora o un Eurito di Crotone si diramano da lui armonie controllate dal numero, che rapporti in una sintesi universale colori, timbri, note geometrie euclidee e non euclidee.

Presumibilmente Chlebnikov anticipa i su descritti lavori di un Rodriguez. Alle domande “che suono ha il colore rosa…che suono emette una radiogalassia?” forse ha già risposto proponendo la parola come musica, bisogna ”fondare una società di violinisti del globo terrestre, i violinglobinisti”; le parole sono “soltanto numeri volibili della nostra esistenza”, peccato che l’autore non abbia posseduto un sofisticato computer capace di restituire voce a ciò che anticipa nei primi del Novecento!

Come vediamo il lavoro riferito allo stretto rapporto che lega musica e architettura dove ambedue le discipline tendono a reciproci scambi, si va articolando, si pensi ad esempio al fatto che non solo le architetture possono derivare da rapporti numerici e notazioni musicali, ma anche la musica come si deduce osservando il lavoro di Guillame Dufay che nel suo Mottetto Nuper Rosarum Flores del 1436 si ispira alle proporzioni armoniche del Brunelleschi per Santa Maria del Fiore, come ci ricorda Roberto Favaro[12], anche se, come si sa, coi numeri possono stabilirsi infine correlazioni e tutte al fine parimenti giustificate. Ma dimostra inequivocabilmente se non altro le interdipendenze reciproche e le sottili corrispondenze. Mendelsohn, ad esempio, come ci ricorda Portoghesi, “ non era interessato a una traduzione in termini strutturali ma a stabilire una parentela metaforica frutto dell’ascolto, come se quel flusso di forme e di emozioni prodotto dalla esecuzione musicale, attraversando il proprio essere potesse cristallizzarsi in una immagine”.

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Guillame Dufay, Nuper rosarum flores, 1436

E’ ciò che accade ad esempio nella Reggia di Caserta del Vanvitelli dove alla sommità dello scalone reale troviamo un ovale affrescato, e nell’intercapedine si insedia l’orchestra, invisibile dal basso, che fa precipitare le melodie in una perfetta armonia di architettura pittura e suono.

Ci piace, inoltre, ricordare il lavoro di Max Neuhaus interamente dedicato alle relazioni tra suono spazio e ambiente sia esso circoscritto o esteso alla città, o quello di George Boissonnade che musica, con l’ausilio di vocalizzi appropriati, urla, fischi, parole… le architetture, e tra queste la Cappella di Ronchamp, il convento de la Tourrette, o più recentemente, su mio invito, la chiesetta di San Domenico a Cefalù recuperata da Pasquale Culotta. [13]

Forse per confermare quanto asserisce Portoghesi circa la parentela tra musica e architettura sulla scorta dell’Eupalino di Paul Valery: “In virtù della fusione che riescono entrambi ad operare tra spazio e tempo, tra estensione e durata, l’architettura temporalizzando lo spazio nell’estendersi della percezione visiva lungo un itinerario di lettura dell’opera costruita, e la musica creando sensazioni di spazio operando direttamente solo sul senso dell’udito”. [14]

E’ sempre lo spazio ad essere investito, ora dall’impalpabilità delle vibrazioni sonore ora dalla matericità della dura pietra, lo sa bene Pino Sciola che fa suonare i suoi marmi.

E se, in sostanza, la musica sveglia il tempo, come vuole Daniel Baremboim, [15] è l’architettura il tempo lo rivela, obbligandolo a rimanere fisicamente desto.

Vengo da un luogo dove la musica nacque per diffondersi nell’ultra mondo. Se Pitagora, come vuole Giamblico di Calcide, non avesse udito il fabbro martellare sull’incudine della sua fucina, nessun musicista sarebbe oggi qui a celebrarne, in sottofondo, la sua intuizione. La radice numerica delle armonie musicali. Fu lui che riordinò le note e i toni nei rapporti armonici, ma fece altro: organizzò musicalmente l’architettura fondendo insieme queste indisciplinate discipline che nacquero fuse ma che si pretende separare.

Forse per questo abbiamo costruito, disegnandoli, una casa sonora e una architettura zufolo e due strumenti: “lo scordato” e il ”Mutofono ”, per ricordare, intanto a noi stessi, che il suono delle pietre è dentro di noi, nelle nostra carne, nelle nostre ossa.

Marcello Sestito | co-writer

 

Note

1- Devo queste indicazioni alla relazione di Paolo Sanvito, Architettura sacra. I progetti di René Ouvrard, Notizie A.I.S.U., n.2 ottobre 1992, pp. 76-77; ed anche quanto segue: ” René Ouvrard (1624-1694), Compositore e canonico di Tours … è autore di trattati teorici musicali come Secret pour composer en musique selon un art nouveau (1679), e L’art de la scence des nombres en francaise et en latin ou l’aritthmétique pratique et spéculative en vers latin expliquée par des questions (Parigi 1677)”.

2- Cfr. Iannis Xenakis, Musica architettura, Sprali, Milano 1982, p. 19.

3- Ibid., p.102, inoltre   due note sul Pavillon Philips, intervista a Iannis Xenakis, a cura di Marco Mencacci, in “Gran Bazar” n.58, ottobre-novembre, 1987, pp.33-36.

4- Ibid., p. 101

5- Ibid., p. 118

6- Vedi il catalogo di Giustina Prestento, Fragmenta, 1980-1985, presentazione di Enrico Crispolti, ed. Centro di sperimentazione artistica, Roma 1985

7- Ibid.

8- Ibid.

9- Ibid., da uno stralcio critico di Clotilde Paternostro

10- Cfr. Carla Solivetti, l’Utopia linguistica di Velimir Chlebnikov, in AA. VV, Utopie per gli anni ottanta, a cura di G. Saccaro Del Buffa, A.O. Lewis, Gangemi, Roma 1986, p.51 e segg.

11- Ibid., p.56-57. Qualche esempio riportato dalla stessa Carla Solivetti, è utile alla comprensione. Sempre a p. 57 leggiamo: “Così la M (M) – l’iniziale dei membri più piccoli di una data categoria che cela il prototipo-immagine dell’atto della divisione – è definita “il frazionamento di un dato volume in un numero indefinitamente grande di parti pari ad esso nell’ insieme” … La C (C)- iniziali di membri più grandi di una data categoria e simbolo della moltiplicazione – è descritta come “un punto immobile che serve da punto di partenza del movimento di molti altri punti che iniziano da esso il proprio cammino” … “Ansioso di estendere i limiti della lingua oltre le dimensioni del suono, Chlebnikov tenta di usare anche i colori come alfabeto e propone possibili corrispondenze tra colori e suoni della “lingua stellare”. La zvukopis, pittura sonora o fonopittura … non è compiutamente elaborata da C., che tuttavia la definisce una valida base “dalla quale può crescere l’albero della lingua universale” (p.61).

“Con l’applicazione estensiva del numero anche alla lingua C. sembra giungere paradossalmente ad un’afasia verbale –in cui l’abolizione del linguaggio diventi presupposto dell’armonia. Privata del suono e del senso “la parola resterà per la parola, non per i bisogni della vita pratica; “… La lingua sarà soltanto pura entità mitopoietica, “creazione perenne”. Allora le lingue resteranno per le arti e si libereranno del pesante fardello. Il nostro udito è stanco” (pp.64-65). Ci piace inoltre ricordare, sulla scorta di indicazioni offerte da Elémire Zolla, il programma di un dizionario dei simboli o symbolarium basato sulle 91 forme geometriche piane e solide fondamentali, dal punto (1) alla sfera (16), all’uovo (17), alla voluta (18), alla spirale (19). Cfr. Pavel Florenskij, Le porte Regali, Saggio sull’icona, dalla prefazione di Elémire Zolla, Adelphi, Milano 1981, p.15.

12- Vedi Roberto Favaro, Spazio sonoro, musica e architettura tra analogie, riflessi, complicità, Marsilio, Venezia 2010, pp.71-74.

13- Vedi i lavori svolti per il Dottorato sul Restauro del Moderno a Palermo e l’incontro a Cefalù, 8 maggio 2006: I rapporti numerici nella composizione musicale e architettonica. (Diego Cannizzaro) e la conferenza di George Boissonnade, da me introdotta, Retracer l’espace au moyen de la voix. Performance. E prima la conferenza da noi curata: Il suono delle pietre alla Facoltà di Architettura di Reggio Calabria 8 maggio 2006. Ricordiamo ancora il lavoro svolto nella tesi di laurea, da me curata come relatore, di Iannis Zacos dove si musica per la prima volta al mondo un frammento di territorio come Città sonora ad Ascri nel territorio di Viota in Grecia nel 2005. E dove gli edifici che compongono lo spazio urbano sono realizzati a partire dalle partiture sonore dei maggiori musicisti e compositori di ogni epoca.

14- Paolo Portoghesi, Musica e architettura, in Leggere e capire l’architettura, Newton Compton, Roma 2006, p.74.

15- Vedi Daniel Baremboim, La musica sveglia il tempo, Feltrinelli, Milano 2007.

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