PIERRE ZOELLY IL MIO MAESTRO DELL’UNDERGROUND

Il tema dell’Underground ha avuto dei grandi interpreti nella ricerca di architettura. I primi che vengono a mente sono Gunnar Birkerts e Hans Hollein. Birkerts ha praticato ininterrottamente questa tematica in molti edifici nella sua attività negli Stati Uniti (per esempio la sua biblioteca sotterranea della facoltà di legge alla South University, Ann Arbor, Michigan). Di Hollein si ricorda un suo fenomenale progetto per il Guggenheim a Salisburgo del 1990 e il più recente campus e Parco tematico Vulcania a Auvergne.

Accanto a questi architetti, ci interessa segnalare il lavoro dell’architetto Pierre Zoelly (1923-2003) perché ha dato del tema dell’Underground declinazioni estremamente interessanti. Ma anche perché ho collaborato come giovane docente con Zoelly nell’insegnamento di un Corso Master nel 1985. Di lui ho un ricordo personale molto diretto e affettuoso. Spesso abbiamo discusso insieme di questi temi, anche con i nostri studenti Master a Carnegie-Mellon, che erano maggiorenni e quindi il prof. Zoelly poteva offrire a tutti una birra di tanto in tanto in un pub di Pittsburgh. Bisogna dire che nei tre progetti che qui analizzeremo il tema dell’Underground si è rivelato di volta in volta una strategia adatta per lasciare la superficie del terreno a parco a La Chaux-de-Fonds, in un secondo progetto e siamo a Ginevra per cogliere l’intensità drammatica del programma museale e nel terzo progetto per mediare la relazione tra nuovo e antico all’interno del centro storico di Friburgo, tutti e tre progetti costruiti in Svizzera che era la patria di Pierre.

Sono progetti redatti negli anni novanta, quando né il tema “del consumo di suolo” né del risparmio energetico erano al centro del dibattito architettonico. Nella nostra condizione odierna invece la necessità di usare strategie architettoniche per costruire sottoterra si fa ancora più stringente e necessaria e illumina questi progetti di nuovi livelli di interesse.
Veniamo ora ad analizzare i tre progetti.

Museo dell’orologeria a La Chaux-de-Fonds

Il museo di Orologeria a La Chaux-de-Fonds è una struttura sotterranea sotto il parco museale della città natale di Le Corbusier. Al suolo emergono le travi a mezzaluna che circondano le costruzioni preesistenti con il ritmo dinamico della land art. Progettato insieme a Georges J. Haefeli e realizzato con tanta sapienza da meritare un premio per il cemento armato, il progetto è ubicato nel parco Courvoisier sul quale confluiscono anche il museo d’arte e quello di storia della città e risulta delimitato dai binari della ferrovia a monte e dalla strada parallela all’asse principale della urbanizzazione a valle.

La realizzazione del museo ha affrontato due temi: quello della creazione della struttura per la collezione permanente e quello della valorizzazione del parco e della palazzina preesistente. La soluzione Zoelly-Haefeli, che vinse il concorso promosso dall’Amministrazione locale, si è basata su tre idee strettamente interagenti. La prima è l’interramento del museo. L’indipendenza tra i sistemi di accesso all’esposizione e quelli al parco è la seconda. Mentre la terza è la scelta del cemento armato come materiale di costruzione. Oltre a evocare evidenti memorie lecorbusieriane e a risolvere i problemi di corrosione derivati dall’interramento, il ricorso al cemento armato consente di sagomare lucernari a mezza luna che ritmano come una serie di sculture la collina da cui emergono. Il percorso esterno permette agli abitanti di godere del verde, di accedere alla palazzina preesistente dedicata all’amministrazione, a un laboratorio specializzato e a un piccolo anfiteatro all’aperto dove si colloca una grande scultura ispirata agli orologi, senza interferire con il funzionamento del museo vero e proprio.

Collocato sotto terra e ricoperto dalla collina del parco, al museo si accede dalla strada esterna passando prima sotto un ponte, che ripristina la continuità del parco, e salendo poi una breve scalinata. L’abilità dei progettisti trasforma la scelta della struttura ipogea da vincolo in risorsa per l’invenzione di nuove atmosfere. Il visitatore è infatti attratto dalla magia del sottosuolo dove la lucentezza degli oggetti, (orologi di tutte le epoche, dimensioni e caratteristiche), i rimarchevoli allestimenti, il gioco di luce e colori determinano un ambiente estraneo all’esperienza usuale, ma che accende attenzione e interesse. L’architettura accompagna gli strumenti esposti con la sua griglia regolare di cinque metri, con la piacevole sagomatura delle travi che coprono luci sino a venti metri, con squarci di luce naturale lungo gli elementi di distribuzione orizzontale e verticale, con le voltine prefabbricate rivestite in laterizi di un rosso vivo che corrono in file parallele da trave a trave.

Terminato il percorso museale e ritornato all’esterno, il visitatore è di nuovo nella natura e apprezza più a fondo l’intelligenza del progetto che, basato su una serie di opposizioni (verde/costruito, sommerso/emerso, luce/ombra, museo/natura) lo spinge a riflettere sulla relazione tra architettura e terra, suolo e sottosuolo. Soprattutto l’underground non è affatto una diminuzione, ma un arricchimento una forza del progetto. Non lo vorremmo mai avere “emerso” questo progetto. Lo apprezziamo proprio nella sua immersione nella terra.

Museo della Croce Rossa a Ginevra

Il Museo della croce Rossa a Ginevra presenta volumi secchi in alluminio e vetro che conducono a un drammatico interno in cemento, incassato sotterraneamente per tre livelli underground.

Si tratta del museo mondiale della Croce Rossa che sorge accanto alla sede principale dell’organizzazione, a poche centinaia di metri dal classicheggiante palazzo della Società delle nazioni, la cui realizzazione segnò una delle più brucianti sconfitte dell’architettura moderna. I progettisti evitano ogni contrapposizione polemica con il contesto monumentale allontanando la vista del museo dalla strada.
L’intenzione di Zoelly — al lavoro con Michel Girardet e di nuovo con Haefeli — è lasciare intatta la grande collina su cui si colloca il palazzo dell’amministrazione, scavare il terreno come una trincea per determinare un accesso zigzagante che termina su una piazzetta, realizzare ancora una volta un museo sotterraneo.

Percorso lo stretto camminamento di accesso dalla Avenue de la Paix, si arriva alla corte di entrata, usata saltuariamente anche per manifestazioni concertistiche, e sulla quale si stendono due vele con i simboli dell’organizzazione.
Al livello dell’entrata si colloca la zona informazione, la caffetteria e pochi altri servizi. La piccola parte della costruzione che emerge fuori terra, che costituisce come a La Chaux-de-Fonds solo un quarto del totale, è trattata a curtain wall con vetri specchiati su montanti in alluminio anodizzato. Materiali freddi e duri, così come il resto della architettura che accompagna la struttura regolare in cemento armato di otto per otto metri con arredi e ringhiere in alluminio. Allestimento e architettura qui non hanno lo scintillio fantasmagorico degli orologi, ma il rigore di una storia di sofferenza e di solidarietà. Il percorso espositivo si svolge completamente nel piano inferiore con una serie di nove stazioni; dalla battaglia di Solferino alla prima guerra mondiale, alla seconda guerra mondiale, fino alle vicende dei nostri giorni. Illuminazione artificiale, diapositive proiettate anche sul pavimento, poveri oggetti di soccorso, grandi fotografie è quanto esposto. La scelta dei progettisti è contribuire al dipanarsi della storia attraverso una espressione architettonica che fa tesoro ancora una volta della lezione del brutalismo anglosassone. I materiali all’interno sono senza rivestimenti, patine o controsoffittature. In particolare gli impianti tecnici appesi al solaio, segnano il grande vano di 42 per 42 metri con una serie di percorsi virtuali tra le diverse installazioni.

L’insieme ha una forza intensa e drammatica che ben esprime gli intenti dell’organizzazione e l’opera di assistenza nelle guerre e nella calamità di tutto il mondo condotta dai suoi membri. Un solo pozzo di luce naturale scava l’atmosfera intensa dell’insieme e cade nella scultura dedicata al ginevrino Henry Dunant, fondatore della Croce rossa dopo aver assistito al tremendo massacro di Solferino dal quale iniziò l’unificazione italiana.

L’Underground qui sostituisce all’effetto luccicante di un gioiello nella rocca del caso precedente, la suggestione di un duro bunker. La luce gioca un ruolo saliente proprio perché arriva d’improvviso e dall’alto, con un effetto ad un tempo di drammatizzazione dello spazio ma anche di speranza.

Museo d’arte popolare a Friburgo

Il terzo progetto è un’opera a Friburgo dove l’espansione del museo preesistente è risolta grazie a un percorso sotterraneo. L’interno è violentemente contemporaneo, l’esito spaziale è straordinario nel valorizzare le opere d’arte. Dalle cupe ombre di Ginevra, passiamo così  alla cittadina di Friburgo, località di confine tra la zona di lingua francese e quelle tedesca. Il museo contiene gli oggetti della cultura materiale, gli arredi, le opere di artigianato, i dipinti e le sculture prevalentemente di artisti locali, e fornisce uno spaccato della vita artistica della città.

L’esposizione si snoda in due zone. La prima, contenuta ai diversi piani dell’antico palazzo (Hotel Ratzé), la seconda in un edificio destinato originariamente a mattatoio, completamente restaurato e ristrutturato dall’architetto (che si giova qui della collaborazione di Michel Waeber) risalente al periodo della Restaurazione. Zoelly, chiamato in una fase iniziale come consulente, scarta la possibilità di ampliare il museo attraverso l’innalzamento di un nuovo edificio accanto al palazzo esistente e sceglie al contrario di espanderlo ristrutturando il fabbricato preesistente anche se collocato al di là di una strada carrabile.

Il collegamento sotterraneo risolve brillantemente le esigenze di continuità funzionale, evita di aggiungere nuova cubatura, e determina le premesse per uno dei suoi temi favoriti. Al museo si accede da un nuova zona di entrata che, oltre a contenere il foyer, gli uffici, e alcuni servizi, permette di smistare l’accesso all’esposizione nel palazzo preesistente da una parte e alla nuova addizione attraverso il collegamento sotterraneo dall’altra. Percorso il tratto sotterraneo e risalendo lungo una scala in cemento, si è subito colpiti dalla ricchezza spaziale, dai chiaroscuri, dalla tavolozza di materiali adoperata in questa zona completamente restaurata all’esterno e ristrutturata all’interno.

Le sculture, a cui è principalmente dedicata, sono collocate nello spazio con sapienza scarpiana. La pietra naturale, la pavimentazione, l’illuminazione artificiale o naturale, creano un insieme coerente che spinge ad apprezzare opera d’arte e spazio come un unico: cospiranti insieme. Come dice Zoelly con una buona dose di understatement, “un museo è bello se non ci si annoia, non ci si affatica e vi si trova regolarmente dei cambiamenti e delle sorprese”. Tale è l’impressione di scoprire infatti, dopo una serie di esperienze puntuali che si svolgono lungo il percorso ai tre livelli espositivi segnato da un tubo di neon, la grande sala delle sculture religiose. Vi è qui un cambiamento di scala, di proporzione e di illuminazione. Si tratta di un ambiente a tripla altezza, ampio circa 30 metri per 15, completamente in penombra e rischiarato solo dai raggi degli spot che colpiscono le statue disposte su mensole incastrate al muro lungo un leggero arco di curvatura.

Pietra naturale della costruzione e pietra pregiata delle sculture giocano in contrasto con un volume semicircolare rivestito in vetro cemento che si protende nello spazio. A questo abside a sbalzo, fa eco un secondo collocato specularmente ad esso sull’asse trasversale dell’edificio che spinge la ristrutturazione del museo lungo il portico che delimita l’edificio sul fronte strada.

Questi due spazi a sbalzo, caratterizzati dalla levigatezza del ferro, del vetrocemento e della moquette, determinano un altro di quei contrasti di materiali e atmosfere di cui l’opera è ricca, che si giustifica anche funzionalmente perché vi sono contenuti gli oggetti preziosi dell’oreficeria locale. Il percorso espositivo termina nel sottotetto, dove si svolgono esposizioni temporanee e dove la ricca tessitura degli spazi precedenti si placa in un quasi asettico nitore, in una ritmica presenza degli elementi di supporto in acciaio ramificati a sorreggere la copertura, in una rilassante luce dall’alto. In quest’ultimo caso quindi il visitatore è spinto a percorrere i diversi livelli della sezione, da quelli effettivamente underground a quelli in quota sino al sottotetto, dove si alternano così sensazione spaziali e materiche diverse ma collegate da un filo comune.

In Zoelly si può cogliere sempre una mossa decisiva e in questi tre casi ha a che vedere con la relazione tra edificio, suolo e appunto sottosuolo. A Friburgo vi è il collegamento sotterraneo per scegliere il luogo giusto dell’espansione, a Ginevra l’idea della fenditura nella collina che determina l’aura e la distanza necessaria per un museo di grande intensità civile, a La Chaux-de-Fonds, infine, la decisa dicotomia tra il parco emerso e il museo sommerso.
Alla decisione fondamentale che determina le relazioni planimetriche e quelle urbane, Zoelly associa appunto la sua arma vincente, la sua peculiare soluzione: quella che chiama «Terratecture» (che ha anche divulgato in un suo volume a sua firma, Terratektur, Birkhauser 1989). Si tratta di un’arma spesso risolutiva non solo perché conosciuta nei minimi dettagli spaziali, funzionali e tecnici, oltre ad essere valida e logica in se stessa, ma anche perché l’architetto ne sviluppa di volta in volta in maniera nuova le potenzialità alla luce delle scelte precedentemente definite.

Antonino Saggio | nITro

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