ECONOMICITÀ, TRADIZIONE, VARIABILITÀ | Le invarianti della logica costruttiva rurale nelle coperture tradizionali del sud Italia

In ‘Come vivere con gli altri senza essere nè servi nè padroni‘ Yona Friedman anticipa di oltre quaranta anni lo scenario critico del mondo contemporaneo, un assetto «conseguente alla dissoluzione delle grandi organizzazioni, all’esaurimento delle risorse, e all’impossibilità della comunicazione universale»[1]. Tali condizioni portano l’uomo verso una «rapida transizione (e ritorno) a un’economia fondata su gruppi locali a più basso livello di specializzazione, che adoperano tecnologie più semplici, e quindi costruiscono micro-società più resilienti» [2]. ‘Come vivere‘ costituisce un tassello fondamentale per la teoria friedmaniana della sopravvivenza, secondo la quale l’uomo, a causa della propria incapacità di ascoltare i ‘saggi’, è costretto ad una condizione di nuova povertà: «la penuria insegnerà ben presto agli abitanti della terra come mettere in atto queste misure, non appena la necessità si farà presente» [3].

La crisi accoglie in sé un enzima di necessità che, se opportunamente incanalato, determina azioni positive nella costruzione alla vita del mondo. Nella visione friedmaniana tale enzima rappresenta il giusto strumento attraverso cui guardare ai modelli di vita passati, senza alcuna nostalgia, nell’ottica di un sostanziale ritorno al primitivismo, tramite il quale riscoprire quei processi che hanno permesso all’uomo di trasformare le necessità in virtù. Occorre ricordare che, in tempi non sospetti, è stata proprio la necessità a spingere l’uomo di campagna verso il dissodamento dei terreni, altrimenti impraticabili, a fini agricoli. Sempre per necessità, l’uomo ha convertito il materiale frutto del dissodamento in materia prima per la costruzione degli elementi a supporto del territorio agricolo e  ha eretto strutture megalitiche quali strumento di orientamento e indagine del cielo e della volta celeste. Ed è sempre la necessità che muove l’uomo di campagna nella realizzazione della sua dimora, aspetto che rende «possibile individuare nella logica costruttiva rurale gli stessi presupposti che oggi risultano preponderanti» [4]. Di fatto il pensiero rurale determina ogni azione con pragmatica analiticità, si misura costantemente con le risorse e gli strumenti a disposizione e opera attraverso logiche cicliche di causa-effetto.

Rileggere un certo ritorno al primitivismo attraverso le categorie del pensiero rurale costituisce un’importante occasione per dare nuovo senso al concetto di scena nativa dell’architettura. Immagine chiave è il frontespizio di ‘Essai sur l’architecture‘ di Marc-Antoine Laugier. «Nel frontespizio una donna, seduta sulle rovine dell’architettura barocca, mostra le regole dalle quali ricominciare per la costruzione di una nuova idea di architettura, incarnate da una capanna di legno» [5].

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La scena nativa dell’architettura, Charles Eisen, in Laugier, Essai Sur l’Architecture, 1755.

L’edificio accoglie in sé i temi della ‘natura’ e della ‘ragione’. Per Laugier, la capanna è, al tempo stesso, nucleo generatore e quindi archetipo. Alla luce di quanto detto, lo scopo primitivo dell’architettura sarebbe, per tanto, dare ricovero all’attività dell’uomo. Tuttavia, tale lettura manca di un’opportuna contestualizzazione rispetto alle specifiche relazioni che il frontespizio propone. La singolare capanna racconta la semplicità ecologica di un fare primitivo, pragmatico nelle scelte costruttive, essenziale nelle decorazioni. La copertura svolge un ruolo chiave: nel confrontarsi con le chiome da cui è cinta offre molteplici interpretazioni dello spazio su cui insiste, dal piano simbolico nel suo slanciarsi verso il cielo, a quello funzionale-distributivo nel suo sviluppo tridimensionale. Non solo: il forte rapporto con l’ambiente naturale, qui rappresentato dall’equilibrio fra la copertura e gli alberi-pilastro, si contrappone al cumulo dei marmi barocchi, frammenti di un’unità che era, privi di una possibile rigenerazione. La scena nativa dell’architettura si muove, quindi, in una condizione primitiva all’interno della quale l’intellighenzia e l’ambiente instaurano un rapporto virtuoso, dimensione fondativa del pensiero rurale.

In questo senso architettura e natura dialogano fra loro, e l’azione del costruire diviene un atto di trascendenza che si manifesta nella dimensione verticale e trova pieno senso nel tetto. Tetto non come riparo, ma come «macchina per dare significato al mondo, al rapporto tra terra e cielo» [6]. In questa accezione la copertura costituisce l’enzima fondamentale di un fare architettonico proprio del sud Italia. Qui l’architettura non è intesa come «un atto di controllo della natura e del luogo, ma piuttosto è intesa come fosse un altare […] L’architettura [e in particolar modo il tetto] è, in questo senso, Agalma […] offerta votiva. Elemento naturale ed elemento architettonico sono coesistenti, ma sempre distinti [7].

Per poter capire a fondo le motivazioni che muovono i processi costruttivi delle coperture tradizionali nel sud Italia, è necessario individuare le esigenze, i valori, le economie e i modelli di vita delle culture alla base di tali processi. La sintesi di queste misure dà luogo a specifiche dinamiche «che fanno capo a principi fondanti della mentalità contadina e che vengono qui identificati come invarianti della logica costruttiva. Queste sono economicità, tradizione e variabilità» [8]

Economicità

Nell’idea di tetto quale elemento di coagulo dei principi costruttivi, il termine economicità viene inteso come «la riduzione dello spreco […] la distinzione tra necessario e superfluo […] esso porta ad una costruzione essenziale, basica ed elementare» [9].

Nel dammuso di Pantelleria, manufatto frutto della sintesi fra la civiltà araba e il know-how dei contadini panteschi, la volta di copertura viene realizzata in pietra lavica e successivamente ricoperta con tufo e calce, risorse ampiamente diffuse sul territorio [10]. A livello morfologico presenta configurazione a botte o a lunetta, soluzioni statico-strutturali che permettono una considerevole riduzione e alleggerimento dell’elemento di chiusura orizzontale.

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Dammuso di Pantelleria, a sinistra un’immagine complessiva del manufatto, a destra un dettaglio
della copertura. https://goo.gl/EZ1UjW.

Nella pajara salentina, invece, il concetto di economicità si traduce nella caratteristica ‘chianca‘, semplice lastra in pietra posta a protezione e chiusura del manufatto, soluzione adottata, inoltre, nei caratteristici nuraghi sardi.

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Confronto fra pajara salentina (a sinistra) e nuraghe sardo (a destra)

Tradizione

Tale termine raccoglie in sè il senso del passaggio delle conoscenze, da una generazione all’altra, nel corso del tempo. Più specificatamente con tale termine «si intende il mantenimento delle tecniche costruttive […]  ma anche l’attribuzione di un valore simbolico agli elementi architettonici» [11].

In questo senso il tetto rappresenta l’elemento costruttivo che più di altri raccoglie i segni di un certo sviluppo tecnologico e, al tempo stesso, le tracce di forme e schemi ormai appartenenti alla dimensione della memoria.

L’evoluzione morfologica del riparo trulliforme in pietra a secco, di Raffaele Battaglia, costituisce una declinazione significativa del concetto di tradizione.

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Forme primarie, forme secondarie e forme derivate de riparo trulliforme in pietra a secco in
Antonio Costantini, Guida all’architettura contadina del Salento, Congedo Editore, Galatina 2017

Nella rappresentazione il segno orizzontale del tetto si conserva chiaramente nel passaggio dalle ‘forme secondarie’ alle ‘forme derivate’. Unica sostanziale differenza è la tipologia base dell’impianto: circolare nelle secondarie, quadrangolare nelle derivate, chiaro indice dello sviluppo delle conoscenze e dei metodi costruttivi.

Non solo: nel passaggio dalla ‘forma primaria’ alla ‘forma composita’, l’idea di tetto ha assunto un carattere figurativo sempre più preciso all’interno del manufatto, senza dimenticare il modello primigenio della capanna conica in paglia.

Variabilità

Aspetto proprio delle costruzioni rurali è la grande flessibilità, necessaria alla definizione dei parametri di adattamento del manufatto alle peculiarità del luogo. In tal senso il termine variabilità indica «l’uso di particolari elementi architettonici in risposta a specifiche condizioni climatiche o modi d’uso dell’impianto» [12].

Questo concetto trova nel tetto un ambito di ricerca originale, con soluzioni che anticipano di secoli le più contemporanee strategie ambientali e tecnologiche in tema di sostenibilità e qualità ambientale degli edifici.

Esempio significativo è, ancora una volta, il dammuso pantesco. La copertura a volta presenta, appunto, un sottile strato resistente in tufo e calce battuta. «Questa particolare definizione del tetto è stata scrupolosamente studiata nella sua razionalità al fine della raccolta delle sporadiche piogge invernali, utilizzandole attraverso un canale di raccoglimento che confluisce nella sottostante cisterna per la resa produttiva del terreno nonché per le necessarie esigenze domestiche» [13].

Le ‘chianche‘ salentine, invece, raccolgono enzimi di grande originalità. Su «alcune di esse è stato messo del terreno vegetale che protegge dal calore estivo, mentre l’acqua meteorica, assorbendosi, la trasforma in una zolla erbosa» [14], una soluzione anticipatrice dell’attuale tetto giardino, in grado di apportare grandi benefici al comfort termo-igrometrico degli ambienti interni.

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Dispositivi tecnologici rurali: a sinistra il sistema di raccolta delle acque nel dammuso pantesco con pluviale in tufo e calce, a destra pajara salentina con zolla verde in copertura.

Michele Spano | nITro

Note

[1] Andrea Bocco, Come vivere con gli altri senza essere nè servi nè padroni, in Yona Friedman e le utopie realizzabili di Andrea Bocco, Franco Bunčuga, 21 febbraio 2018, articolo consultabile al sito web https://goo.gl/Z1LyoC

[2] Ivi

[3] Yona Friedman, L’architettura di sopravvivenza. Una filosofia della povertà, Bollati Boringhieri, Torino 2009

[4] Federica Amore, Razionalità rurale. Principi per l’architettura contemporanea, ‘Sapienza’ Università di Roma – Corso di Dottorato in ‘Architettura – Teorie e Progetto’ – Coordinatore: Prof. Antonino Saggio – XXIX ciclo – Curriculum A: Architettura – Teorie e Progetto – Tutor: Prof. Roberto Secchi – CoTutor: Prof. Piero Ostilio Rossi, Roma 2016

[5] Antonino Saggio, “Paesaggi culturali” in ROMA COSMO|MATERIA|CULTURA. Proiezioni trasversali per il progetto della città, a cura di Matteo Baldissara, Marta Montori, Teodora M. M. Piccinno, Quaderni del Dottorato di Ricerca in architettura – Teorie e Progetto, Dipartimento di Architettura e Progetto, Facoltà di Architettura “Sapienza” di Roma, Lulu.com, Raleigh 2016

[6] Ivi

[7] Ivi

[8] Ivi

[9] Ivi

[10] http://www.ilovepantelleria.it/architettura-tipica.html

[11] Federica Amore, Razionalità rurale. Principi per l’architettura contemporanea, ‘Sapienza’ Università di Roma – Corso di Dottorato in ‘Architettura – Teorie e Progetto’ – Coordinatore: Prof. Antonino Saggio – XXIX ciclo – Curriculum A: Architettura – Teorie e Progetto – Tutor: Prof. Roberto Secchi – CoTutor: Prof. Piero Ostilio Rossi, Roma 2016

[12] Ivi

[13] http://www.ilovepantelleria.it/architettura-tipica.html

[14] Rossella Barletta, Architettura contadina del Salento. Muretti a secco e pagghiari, Capone Editore, Lecce 2009

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