Tattilità Sonora

Quando Juhani Pallasmaa scrisse “Gli occhi della pelle” intendeva ricucire quello strappo cognitivo che aveva reso l’occidente schiavo di un mondo prettamente visivo, mentre le altre dimensioni del suo essere venivano sottostimate e svalutate. La tattilità nell’occidente è divenuta progressivamente una dimensione esclusivamente privata e personale nella rinuncia di quel contatto che costituisce il legame interpersonale primario.

Pallasmaa argomenta giustamente che tutti i nostri cinque sensi (tatto, gusto, olfatto, udito e vista) non sono altro che specializzazioni della superficie tegumentaria, la quale costituisce la nostra interfaccia verso il mondo esterno, in questo senso le diverse qualità sensorie non sono dimensioni indipendenti della realtà ma sono sistemi di anticipazione della stessa.

Il tatto inevitabilmente afferisce a una condizione in cui la distanza tra il soggetto e gli eventi risulta ridotta al minimo e conseguentemente la possibilità di evitare situazioni critiche diviene pressoché azzerata, l’evoluzione quindi ci ha portato a sviluppare modi diversi di mediare il flusso di informazioni che permea tutto il mondo simultaneamente.

L’udito, in questa concezione, rappresenterebbe una tattilità a distanza in cui le compressioni dell’aria dovute alle vibrazioni dei corpi materiali giungono a noi toccandoci e raccontandoci di fatti più o meno lontani. La vista, nata probabilmente dalla specializzazione dei sensori termici della pelle, intercetta la luce proveniente anche da chilometri di distanza e da lunghezze siderali così da condurre alla superficie dei nostri occhi, realtà così lontane nel tempo da costituire persino testimonianze di mondi scomparsi.

Vogliamo qui riportare l’attenzione su quella dimensione uditiva, che costituisce il primo passo di quel contatto in differita che da un lato ci permette di restare a distanza dagli eventi ma dall’altro ci consente di essere in relazione a cose lontane espandendo la sfera d’esistenza del nostro ambiente. Sappiamo bene che per chi non può godere dell’ausilio della vista, l’ascolto è uno strumento fondamentale anche se spesso insufficiente ad avere un pieno controllo del proprio moto nell’ambiente, soprattutto in una realtà caotica e rumorosa come una metropoli.

In alcuni recenti progetti tecnologici è nata allora l’idea di tradurre un tipo di informazione in un altro tipo di informazione attraverso quel continuum sensoriale della superficie cutanea.

In questa direzione si inquadra l’idea del progetto IrukaTact[1] realizzato da Aisen Chacin e Takeshi Oozu appartenenti all’Empowerment Informatics Studio della EMP Tsukuba University nel 2015. Questo progetto prende spunto dal sistema sonar dei delfini (iruka in giapponese) e, attraverso dei sensori sonar posti in punta di dita di un guanto elettronico stampato in 3D, traduce la topografia circostante in pressioni tattili tramite micro-pompe che indirizzano un fluido direttamente sui polpastrelli: più l’oggetto percepito è vicino più è intensa la pressione apportata alle dita. L’oggetto realizzato da questo team possiede una certa eleganza considerato che si tratta di un prototipo sperimentale e consente una grande motilità delle falangi permettendo una perfetta simbiosi tra strumento digitale e strumento biologico. Uno degli aspetti interessanti di questa operazione, oltre alla sperimentazione in sé, consiste nel fatto che i ricercatori abbiano fornito sul proprio sito tutte le istruzioni per riprodurre il guanto IrukaTact, comprensivo di file stereo litografico[2] per riprodurre le componenti fondamentali e il codice sorgente[3] per la scheda Arduino di controllo, così da permettere ulteriori sviluppi a chiunque sia interessato. Ad oggi l’esperimento è stato provato solo in ambiente liquido sia in virtù della sua fonte di ispirazione sia perché si prefigura a livello funzionale come un supporto per le ricerche di emergenza in situazioni particolarmente difficili, una interessante modalità aptica ma non ancora uno strumento di comprensione della natura dello spazio.

Su questo fronte invece si potrebbero allora incorporare gli esiti delle ricerche dell’artista e architetto Bernhard Leitner, che fin dagli anni ’60 si è impegnato in un’alacre ricerca sulla relazione tra corpo, suono e spazio. Nelle sue installazioni la percezione acustica avvolge sempre il soggetto, lo coinvolge in maniera dinamica e il corpo diviene nella sua totalità un organo sensoriale acustico.

Le sue installazioni si sono configurate nel tempo come vere e proprie sperimentazioni spaziali che giocano sulla “geometria invisibile” del suono in una trama che articola lo spazio e lo riempie nella sua interezza attraverso direzioni, frequenze e volumi diversificati.

Tra i suoi esperimenti più interessanti è da ricordare la TON-ANZUG (1975), una tuta dotata di una rete di connessione a cui poteva essere agganciato in qualunque punto un altoparlante, così che il corpo diveniva veicolo del suono nello spazio e, al tempo stesso, l’utente poteva recepire il suono in maniera diversa su molteplici parti del proprio corpo. Come spiega Leitner «se diverse zone acustiche sono collegate da linee sonore, viene creata una forma acustica, che si accumula attorno al corpo, lungo il corpo e anche attraverso il corpo. Modelli di toni non lineari scandiscono ritmicamente il corpo, con certi suoni che migrano e pulsano sulla superficie della pelle, altri (specialmente le frequenze più profonde) penetrano selettivamente nel corpo, materializzando così una scultura plasmabile di spazio che si accumula e si manifesta nel corpo » [4].

 

Un progetto più recente che lavora verso “una forza estetica del suono”[5] e si incarica di ripristinare una relazione tra soggetto e ambiente tramite l’utilizzo dell’information technology è Tecno Primitivo[6], realizzato dal gruppo nITro per il Giardino Sonoro organizzato da Brusci e Panzerotti, nel 2011 a Firenze nella Limonaia dell’Imperialino. Questa installazione utilizzava i gesti stessi del fruitore per attuare delle dinamiche interattive di morphing acustico, l’impianto restituiva una ibridazione coinvolgente tra sonorità naturali e sonorità artificiali che variavano sulle grandezze del riverbero, del panning, del volume e della distribuzione spaziale. Natura, paesaggio, architettura e sonorità si fondevano in una esperienza di contatto pieno tra soggetto e sistema ambiente cosicché l’individuo, parcellizzato dalla società post-industriale e dal caos urbano, ritornava ad essere in continuità con il proprio mondo.

Gabriele Stancato | nITro

NOTE

[1] http://aisencaro.com/iruka.html

[2] https://www.tinkercad.com/things/kBM7ebBBaUN

[3]  http://aisencaro.com/IrukaTact_Demo.zip

[4] http://www.bernhardleitner.at/works

[5] AA.VV. 2011, a cura di Antonino Saggio, Architettura & Information Technology, Roma: m.e. architectural book and review, p. 2008

[6] http://nitrosaggio.altervista.org/tecno-primitivo/

 

 

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