Sfera tangibile Vs Sfera Digitale – Recensione del libro “Architetture Globali. Solidi fluidi o del comporre retto e curvo” di Marcello Séstito

Marcello Séstito, architetto italiano laureatosi con Eugenio Battisti e allievo di Franco Purini e Alessandro Anselmi, è professore associato all’Università Mediterranea di Reggio Calabria, dove insegna Progettazione architettonica.

Redattore della rivista D’ARS dal 1986 al 2002, vi ha pubblicato numerosi scritti in materia di Architetture Globali, i quali offrono una più completa comprensione del testo, dato l’approfondimento di alcuni degli argomenti che saranno poi oggetto principale dei capitoli, tra i quali: Lo Spazio Fluido (1993); Il mondo tattile: l’audizione dello spazio (1995); Reale virtuale, post reale post virtuale (1996); Il corpo diluito, sguardo sul terzo millennio (1999). I suoi interessi si muovono principalmente verso aspetti mentali e precognitivi in ambiti artistici ed architettonici, tanto da arrivare a formulare l’ipotesi che le future architetture somiglieranno a connessioni cerebrali.

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Collage dell’autore. Immagini realizzate da Marcello Sèstito in apertura dei singoli capitoli

Il volume di Marcello Séstito “Architetture Globali. Solidi fluidi o del comporre retto e curvo” si articola in una grande quantità di materiale teorico e iconografico raccolto negli anni, che porta l’autore a creare una trattazione proteiforme, tale da offrire diversi percorsi di lettura: due testuali ed uno illustrativo, quest’ultimo talmente esauriente da avere un valore anche come appendice autonoma.

Scorrendo l’indice del libro balza subito all’attenzione del lettore come i ventisei capitoli trattati siano indipendenti tra loro, e procedano caratterizzati da un continuo cambiamento di prospettiva di ricerca da parte dell’autore; questo fa sì che ogni argomento trattato sia affrontato in maniera singolare, in modo da cogliere pienamente l’evoluzione che l’architettura globale ha avuto nel tempo nell’ambito umanistico, in quello artistico e in quello tecnico-scientifico, fino a pervadere persino le realtà politiche, economiche ed ecologiche attuali, senza tralasciare le previsioni future.

Per comprendere il messaggio globale dell’autore, è necessario soffermarsi singolarmente sugli apparati che compongono questa opera, in modo da averne una visione organica e coerente.

Ma, quali sono le motivazioni che hanno spinto l’autore a scegliere il titolo “Architetture globali” e a percorrere ambiti così complessi e diversificati tra loro?

Facendo riferimento alle definizioni del termine “globale” del vocabolario Treccani: “1. Preso nella sua totalità, considerato nell’insieme, complessivo. 2. Che appartiene o si estende a tutto il mondo, all’intero globo terrestre”, ho formulato una personale idea sull’iter che egli propone, sia quando indaga sull’aspetto e le geometrie del globo e sulle forme dei progetti, generate dall’unione di sguardo particolare e generale (dedaleo e icariano)[1], sia quando esplora la condizione dell’essere umano nell’era della globalizzazione e della mediatizzazione, elementi che offrono la possibilità di scambiare opinioni in tempo reale con tutta l’umanità.

Séstito inizia questo viaggio affrontando proprio il tema della genesi dell’architettura globale, la quale “intacca, scolpisce, ferisce, si innesta, s’incunea, s’insinua e s’insedia nella crosta terrestre stabilendovi la sede ed il luogo d’appartenenza”[2], e introduce lo studio di Van Loon, secondo cui l’uomo, in cerca di vitto e ricovero per sé e per la sua famiglia, si è adattato al territorio o lo ha modificato per poterci vivere.

L’architettura è quindi vista come estensione dell’uomo, che si adatta al paesaggio modellandolo, scavandolo e componendolo. La difficoltà per l’essere umano nasce quando cerca di rappresentare l’interezza della Terra, a causa della sua dimensione gigantesca che non ci permette di percepire visivamente il suo essere uno spazio curvo; ecco quindi la difficoltà dell’architetto ad averne una visione esaustiva e globale, come lo sguardo di Icaro, “antecedente delle visioni prospettiche, o le prospettive ‘a volo d’uccello’”[3] di Le Corbusier, che ne restituiscono una visione completa

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Marcello Sèstito, Icaro cade dal cielo, 1996

Se il sapere dedaleo è simbolo di ricerca e sperimentazione scientifica, con la caduta di Icaro si ha la perdita della possibilità di comprendere il tutto geografico, poiché questo è accessibile solo a Dio, e così sarà finché l’uomo guarderà la Terra dalla Luna, arrivando finalmente ad avere uno sguardo globale e sinottico del globo, che egli stesso scopre, in una dimensione minuscola, e che permetterà all’architetto di indirizzare lo sguardo e la mano in interventi totalizzanti.

Quando ancora non si poteva volare intorno alla terra, la ricerca della visione globale si materializzava nella costruzione di torri sempre più alte e prossime al cielo. Ed ecco che il simbolismo sferico diventa ricco di significati per rappresentare la Terra e l’universo diventa così riproducibile perché regolare, simmetrico e ritmico. In architettura prevale, quindi, l’utilizzo della sfera, monumentale, come simulazione dell’universo stesso e dell’elemento più prossimo ad essa: la cupola (e.g. il Pantheon). Ci troviamo ancora nello sguardo dedaleo, particolare, che immagina sfere abitate e nuove possibilità, ma che ancora non si è sollevato da terra.

Anche l’arte, quale prodotto di una natura che artisticamente e spontaneamente produce architetture naturali di grande bellezza, svolge un ruolo nella comprensione umana del globo. Così, grazie ad essa è possibile la miniaturizzazione del mondo, che non è ancora una visione nell’interezza del cosmo, ma introduce un elemento di organicismo sempre presente in architettura, la Terra.

Così il mondo diventa oggetto riproducibile, non “statico bensì in divenire, un mondo modificato dal progetto”, in continua evoluzione, che con la sua rotazione, attira l’attenzione della progettazione architettonica. Gli umani hanno estetizzato la natura al punto di denaturalizzarla in giardini e paesaggio, al fine di farla diventare cosa umana; nasce, così, una architettura del paesaggio con l’adozione di strategie e programmi di intervento a protezione della natura incontaminata, a basso dispendio energetico, contro un futuro di intelligenze artificiali.

Peraltro Séstito afferma che la “matericità dell’architettura, la sua messa in forma” attiva esperienze sensoriali complesse, bisogna, quindi, fruirne con tutti i sensi e non solo con la vista.

Esempio eclatante sono i pittori ciechi i quali, nonostante abbiano subito la perdita di un senso, non hanno perso il loro estro artistico.

Poiché il tatto è il senso oggettivo della conoscenza del mondo esterno per l’essere umano, perché non indagare il mondo dell’artisticità tattile?[4]

A tal proposito, molto interessanti sono le sperimentazioni di Augusto Romagnoli, che ha introdotto l’educazione dei non vedenti alla storia dell’architettura, basandosi sulla decifrazione di elementi architettonici attraverso l’udito, che l’autore definisce come “audizione delle forme”.

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Collage dell’autore. Tavole tattili, Fondazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi di Roma. Scuola di metodo Augusto Romagnoli.

L’arte di Séstito, già protesa verso il terzo millennio, immagina un corpo che diventa obsoleto e dove la sua interezza è solo un ricordo e come lo spazio, non ha più confini, è un unicuum fluido, dinamico, che scorre tra gli elementi per entrare nel mondo della simulazione – come già nel coro del San Satiro di Bramante – e della duplicazione della Terra in miniatura.

Assuefatti dall’immaterialità del corpo e del mondo, avremo quindi di nuovo bisogno dell’esperienza tattile, di un mondo digitalizzato che si contrapponga alla sfera reale.

Sempre più probabile è la dimensione post organica, dove alla natura ne sarà sostituita una seconda, perché quando il corpo si liquefa, si liquefanno anche le figure geometriche, e l’architettura e il mondo reagiscono come corpi biologici sulla base di algoritmi genetici, si trasformano e subiscono una metamorfosi, come ha fatto anche la natura in passato, per adattarsi.

L’autore, in un passaggio del testo, immagina di “entrare in un museo d’arte, selezionare il soggetto preferito e averlo in stampante, […] e anziché portare a casa souvenir voluti da terzi, scegliere quello estremamente personalizzato” e, ancora, “architetti chiedere in un futuro negozio di modellazione oltre alla mappa catastale il rilievo realizzato ove collocare un modello di architettura futuro”[5], rendendo plausibile la duplicazione del mondo.

Oggi tutto questo è già possibile, con l’avvento di musei digitalizzati ed interattivi, in cui una visita si trasforma in una vera e propria esperienza multisensoriale[6], e l’ausilio delle stampanti 3D, che non solo permettono la riproduzione fedele di parti di città, elementi architettonici e oggetti di design in piccola scala, ma sempre più sono ampio campo di ricerca per l’applicazione di nuove tecnologie.

Mi vengono in mente due progetti sperimentali realizzati da due scuole di architettura europee, l’Institute of Advanced Architecture of Catalonia di Barcellona e la Architectural Association School of Architecture di Londra. La Iaac ha proposto il progetto di ricerca “Living Screen”, che consiste nella stampa 3D di un pattern creato da una singola linea continua di una pasta filamentosa composta di alghe aeree, metilcellulosa e alginato di sodio, mentre la AA ha sviluppato un progetto di tesi, intitolato “Growing Systems”, che esplora sistemi di costruzione adattabili utilizzando metodi di fabbricazione robotizzata e di stampa generativa direttamente in loco, stavolta con un materiale plastico che conferisce alle strutture elasticità, resistenza, flessibilità e sostenibilità.

Nell’era della comunicazione planetaria, un’arte ed un’architettura che si sono liberate dal proprio corpo contingente e hanno conquistato una nuova globalità, potranno coniugarla con un’estrema personalizzazione, passando dalla standardizzazione della globalizzazione ad una personalizzazione di massa. Può nascere così il primo ponte stampato tridimensionalmente, studiato per un luogo apposito – eppure adattabile in molti altri contesti – e, perché no, un intero edificio che obbedisca sempre alle stesse regole ma che sia capace di adattarsi alle esigenze del contesto.

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The Living. Courtesy of Irina Shaklova

Manuela Seu | nITro

NOTE

[1] Lo sguardo dedaleo è uno sguardo particolare, perché rimane terreno, grazie alla sua saggezza; lo sguardo icariano è uno sguardo globale, perché con la sua imprudenza mira alla visione globale. Lo sguardo di Icaro, pagg. 32-41

[2] cit. Marcello Séstito. L’architettura globale: l’inizio, l’origine, l’antecedente, pagg. 18-27

[3] cit. Marcello Séstito. Lo sguardo di Icaro, pag. 33.

[4] Manifesto Tattilista di Filippo Tommaso Marinetti. Il mondo tattile: l’audizione dello spazio, pag. 97

[5] cit. Marcello Séstito. Reale-vistuale, postreale-postvirtuale, pag. 144

[6] Van Gogh Alive – The experience, Palazzo degli Esami, via Gerolamo Induno, 4 Roma, dal 25 ottobre 2016 al 26 marzo 2017

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

Marcello Séstito, Architetture Globali. Solidi fluidi o del comporre retto e curvo, Gangemi Editore, 2002

http://www.archdaily.com/793054/aa-school-of-architecture-designs-adaptable-structural-plastic-3d-printing-method/

http://www.archdaily.com/776579/iaac-student-develops-3d-printed-living-screen-from-algae/

https://iaac.net/institute-advanced-architecture-catalonia-designs-first-3d-printed-bridge-world/

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