Architettura Omeostatica

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The Blue Marble, via NASA

Nel corso dei secoli modificazioni geologiche e climatiche della biosfera[1], avvenute durante la storia del pianeta, hanno influito su ecosistemi e organismi viventi. Un’accelerazione di queste modifiche di origine antropica è causata dallo sviluppo della popolazione umana, che, pur rimanendo soggetta alle leggi della natura, si è diffusa senza precedenti, inducendo modifiche ambientali profonde con la sua cultura e la sua tecnologia. Uno dei modelli che ben descrive la complessità di relazioni che regolano il nostro ecosistema è quello di James Ephraim Lovelock, che ha definito il nostro pianeta come un super organismo all’interno della Teoria di Gaia, “la quale descrive la Terra come un unico sistema capace di mantenere le sue caratteristiche fisico-chimiche  in condizioni idonee alla presenza della vita grazie al comportamento degli organismi viventi”.[2] Tale comportamento viene definito in biologia con il termine omeostasi, effetto dei processi di feedback attivo svolto in maniera autonoma e inconsapevole dall’intero sistema biotico. Nell’ipotesi Gaia la biosfera sarebbe costituita dall’insieme degli organismi viventi della terra e rappresenta il sistema di vita planetario che comprende tutto ciò che viene influenzato e che influenza la biosfera.

Le prime critiche alla teoria di Lovelock erano basate sulla considerazione che l’omeostasi fosse possibile solamente tramite simbiosi dei vari organismi, un modello che si contrapponeva a quello maggiormente affermato, basato sulle teorie di Darwin e incentrato sul concetto di evoluzione. Queste stesse critiche erano però fondate sull’erronea concezione che l’evoluzione fosse una lotta all’ultimo sangue in cui solo i più forti sopravvivono, ignorando la logica cooperativa avallata dallo stesso Lovelock. In realtà diversi organismi apparentemente deboli sono sopravvissuti in quanto membri di coalizioni, mentre altri, apparentemente forti, non essendo mai ricorsi alla collaborazione, si sono estinti.  Quando Darwin, citando Spencer, identifica l’evoluzione come “sopravvivenza del più idoneo”, non vuole riferirsi alle abitudini predatorie o alla frusta del padrone, ma al fatto di produrre una discendenza più numerosa!

Idoneo, per l’evoluzione, significa quindi fecondo: non infliggere la morte quanto propagare la vita. Gaia “non nega la grande visione di Darwin ma la completa con l’osservare che l’evoluzione della specie non è indifferente da quella del loro ambiente circostante. Anzi, le specie e il loro ambiente sono strettamente correlati e si evolvono come un sistema solo.”[3]

Considerando lo stato di evoluzione della disciplina ecologica (si pensi che la prima pubblicazione sulla biosfera è del 1920), appare chiaro la ragione per cui per Darwin sia necessario analizzare il mondo nelle sue distinte componenti, ed in particolare nella distribuzione ed evoluzione delle specie, mentre Lovelock possa intendere il globo come unicum, concentrando i propri studi sull’ambiente.

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Elaborazione grafica a cura degli autori

Questa differenza di approccio definisce un rapporto dialettico tra organismi viventi e habitat che trova importanti criticità nel binomio Uomo-Natura. Tali criticità nascono dal sentimento di fragilità maturato dalla storica immagine The Blue Marble, scattata durante la missione Apollo 17, incipit per la nascita della questione ecologica, sipario di tappe importanti come la Sustainable development will only happen if it is explicitly planned for (EC, European Sustainable Cities, 1996) culla dell’espressione “Sviluppo sostenibile”.

Lo sviluppo sostenibile è quel tipo di sviluppo capace di soddisfare i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere il soddisfacimento dei bisogni delle future generazioni (così come emerge dal rapporto Brundtland del 1983, “Our Common Future”) e comprende tre tipologie di azioni: sociali, ambientali ed economiche.[4] [4]

Occorre ricordare che il maggiore impatto ambientale dell’attività umana deriva dall’ammontare del turnover di materia, questione che ha portato a un definitivo decremento del consumo di risorse, intese come materia, energia e territorio. Ciò ha richiesto la modifica delle politiche e delle economie industriali nel loro complesso a partire dai loro stessi modelli organizzativi.

In tale prospettiva diventano cardini su cui impostare una strategia di sviluppo sostenibile i sei princìpi più uno, enunciati dal World Businness Council for Sustainable Development e nel United Nations Environment Program:

 

  • Riduzione del consumo di energia: la minimizzazione del fabbisogno energetico e l’ottimizzazione dell’efficienza energetica nella concezione, realizzazione e gestione delle trasformazioni territoriali, urbane e architettoniche.
  • Riduzione del consumo di materiali: l’ottimizzazione dei risvolti progettuali esecutivi derivanti dalla tendenza alla smaterializzazione e alla leggerezza dell’Architettura, ed il ferreo controllo degli sprechi in fase produttiva.
  • Riduzione delle emissioni nocive: riduzione progressiva ma drastica delle emissioni dei gas serra, riassumibile in un triplice obiettivo, che vede protagonista il controllo e la limitazione dell’inquinamento derivante dalle attività insediative umane nelle tre dimensioni dell’atmosfera, dell’acqua e del suolo.
  • Massimizzazione del riuso e della riciclabilità: massimizzazione delle strategie ed azioni volte all’affermazione dell’approccio progettuale e costruttivo che potremmo definire flessibile ed adattivo alla rifunzionalizzazione e al riutilizzo di spazi ed ambienti, e come secondo slancio quello mirato a massimizzare la pratica del riciclaggio di materiali e componenti.
  • Massimizzazione della durabilità di prodotti e componenti: un deciso miglioramento di tenuta nel tempo delle performance prestazionali di tutti gli “oggetti” delle trasformazioni umane, dal materiale, al componente, all’edificio, alla città.
  • Massimizzazione dell’impiego di risorse rinnovabili: promozione ed incoraggiamento allo sviluppo di un atteggiamento progettuale che privilegi il ricorso alle cosiddette risorse rinnovabili, energetiche non esauribili e alle risorse materiali locali, facilmente accessibili.
  • Sviluppo della partecipazione: L’obiettivo principale è di sviluppare e promuovere la condivisione durante la formazione del progetto, fino al coinvolgimento della popolazione nelle decisioni programmatiche, nelle fasi realizzative e in quelle gestionali.

Dal punto di vista progettuale la sfida posta dalla questione ecologica appare oggi problematica e allo stesso tempo viva, ed è più che mai necessario interrogarsi sul significato del termine sostenibilità, di per sé ambiguo senza una specifica aggettivazione. Se declinata come ambientale risulterebbero particolarmente chiari obbiettivi e prerogative intrinseche al termine stesso, interpretati, concepiti e progettati all’interno di ambiti quali trasformazione dei caratteri morfologici, tipologici e tecnologici dell’ambiente costruito, il significato dello “spazio aperto” e dello “spazio intermedio” nel progetto urbano sostenibile e infine il ruolo dell’involucro edilizio nell’architettura eco efficiente. Proprio quest’ultimo è passato dall’essere semplice barriera con funzioni protettive all’essere una complessa membrana permeabile, selettiva e polivalente, dotata, come la pelle umana, della capacità di ammettere, respingere e/o filtrare i fattori ambientali basandosi su un complesso scambio di feedback fra ambiente esterno e spazio interno all’organismo architettonico.[5]

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Renzio Piano, Le Albere, schizzo, courtesy of RPBW

Operando un conclusivo affondo metodologico è possibile definire un insieme di dieci soluzioni progettuali[6], vademecum di una nuova grammatica compositiva che fa della biosfera il proprio domino d’azione:

  1. Alta densità abitativa (compact city)
  2. Integrare il più possibile le funzioni (mixitè) 
  1. Flessibilità (ibridazione spaziale, sistemi di arredo mobile)
  2. Promozione della partecipazione degli abitanti (politiche bottom-up)
  3. Razionalizzazione degli impianti (ottimizzazione della progettazione impiantistica)
  4. Mobilità (pedonale, ciclabile e su ferro)
  5. Conservazione e riuso delle risorse idriche (rispetto dei margini idrici, raccolta delle acque piovane, sistemi di depurazione)
  6. Valorizzazione delle aree a valenza naturale (essenze autoctone, corridoi ambientali, gestione del suolo)
  7. Energie rinnovabili (solare organico, bi/trigenerazione, geotermia)
  8. Considerare e sfruttare i fattori climatici (sole, vento, umidità)
BIG, Europa City, via Archdaily

Alessandro Perosillo + Michele Spano | nITro

NOTE

[1] La biosfera viene comunemente definita in bilogia come “l’insieme delle zone della Teerra in cui le condizioni ambeintali permettono lo sviluppo della vita”.

[2] http://www.progettogaia.it/progettogaia

[3] Dio & Gaia, Lovelock, 1919, pag. 11

[4] Lo sviluppo sostenibile e le sue implicazioni nell’ambito della Pianificazione Ecologica, cordo di Pianificazione Ecologica e sostenibile del territorio, Facoltà di Ingegneria, università degli studi di Trento, Mario ciolli

[5] Impiego Ecocompatibile delle risorse e sostenibilità, Salvatore Dierna

[6] Corso in Tecnologie di protezione e ripristino ambientale, Sapienza – Università di Roma, Fabrizio Tucci

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