LUDOSFERA: TRA APPROCCIO ECOLOGICO E GIOCHI DEI MONDI

Quello che vi proponiamo è un viaggio: un’esplorazione interstellare verso mondi nuovi e sconosciuti. Vogliamo guidarvi alla scoperta di una nuova “ecologia”, che fa del gioco e della sfera ludica il suo punto di approdo. Dimostreremo come è possibile pensare all’esistenza di quella che definiamo “ludosfera”: un ecosistema ludico dove i limiti fisici del reale vengono infranti e gli scambi tra il mondo del gioco e la sfera della realtà generano nuove e imprevedibili conseguenze. Allacciate quindi le cinture e venite con noi dove nuove spazialità dinamiche e interconnesse stimolano la fantasia e generano cortocircuiti nuovi.

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Fotogramma tratto dal film Upside Down

Mettiamo subito in chiaro una cosa: giocare è una cosa seria, anzi, serissima! Quella che potrebbe sembrare una mera provocazione, in realtà vuole porre l’accento su una delle componenti fondamentali della nostra esistenza di esseri umani. Tutti nel corso della nostra vita siamo stati giocatori più o meno consapevoli; alcuni di noi continuano ad esserlo, mentre altri cercano di affrancarsi da questo ruolo, in una visione dell’attività ludica come atto puerile, momento di sola evasione dal quotidiano.

Nella nostra accezione con il concetto di gioco intendiamo non solamente lo svolgimento di un’azione che provochi divertimento o piacere, ma qualcosa di antecedente alla cultura stessa quale proposizione creativa in costante ridefinizione di sè, una vera e propria capacità di orientamento, che “basandosi sulla comprensione critica del passato, guarda alla costruzione del futuro” (Saggio 2016).

Giocare è quindi modalità di “stare al mondo” e di entrare in relazione con esso attraverso un processo di creazione spaziale che struttura quello che è definito il “mondo del gioco”.

Quest’ultimo è uno spazio per definizione “magico”, permeato da una componente immaginaria e creativa; noi giochiamo nel mondo fisico che siamo abituati a conoscere ma, allo stesso tempo, ci guadagniamo un campo da gioco (playground) dove gli elementi hanno una valenza semantica completamente differente. Esso è una costruzione spaziale che dà l’idea di trovarsi in una dimensione parallela, dai confini eterei ma incredibilmente definiti, in un equilibrio di giusta relazione tra le sue componenti cardine, che rendono l’attività̀ ludica un evento dalla connotazione fortemente narrativa: il play, che racchiude in sé l’idea di performance e improvvisazione, e il game, il set di regole conosciute e riconosciute. Il gioco ha quindi un proprio tempo e un proprio spazio, al di fuori dei sistemi di riferimento reali: il primo può, infatti, essere accorciato, dilatato e interrotto per poi essere ripreso; il secondo per reificarsi ha bisogno di un sistema codificato di regole che fanno sì che l’incantesimo possa avere il suo inizio. Stabilire delle regole definisce un contratto tra i giocatori, che si assegnano dei ruoli, degli spazi di movimento e delle azioni compatibili con lo spazio ludico costruito. Non appena si trasgrediscono le regole il mondo del gioco crolla, l’inlusio si rompe e ognuno assume nuovamente i ruoli rivestiti nella vita ordinaria che ha messo, temporaneamente, da parte.

Questa lettura sistemica del gioco, rende possibile ipotizzare l’esistenza di un’ecologia ludica nel senso haeckeliano del termine, instaurando un forte legame tra due discipline tra loro apparentemente antitetiche.

Un ecosistema è un sistema per definizione complesso, costituito da organismi viventi che interagiscono tra loro e con l’ambiente che li circonda. Tre sono le caratteristiche peculiari di un’unità ecologica, e che si riveleranno utili nella nostra costruzione: l’autoregolazione, l’autosostentamento e limitati scambi materiali con l’ambiente esterno.

Dunque, qualora il gioco appartenesse a questa categoria, esso deve rispettare le componenti base che abbiamo appena nominato. Iniziamo quindi col soffermarci sull’autoregolazione.

Un ecosistema è un continuum dinamico di azioni e retroazioni, volte a garantirne la sopravvivenza e rispondere agli stimoli a cui esso è sottoposto, con lo scopo di innestare un ciclo; nell’attività ludica avviene qualcosa di simile: per ogni azione di un giocatore esiste una contro azione di un altro partecipante che ne bilancia l’effetto. Il gioco è quindi un sistema complesso di relazioni che devono mutuamente equilibrarsi, e dove il contratto tra i giocatori è una prima formula di autoregolazione cui tutti devono attenersi, pena l’impossibilità della magia del gioco stesso. Chi rifugge tale atteggiamento è il baro che porta nell’ecosistema ludico un elemento di rottura che genera uno squilibrio insanabile ed è colpevole del collasso sistemico.

L’autosostentamento è la seconda delle peculiarità necessarie al nostro ragionamento. Un ecosistema è intrinsecamente in grado di autosostentarsi, per non andare incontro al proprio decadimento; qualsiasi elemento prodotto, con i suoi rispettivi scarti, viene immesso nuovamente nel sistema e rielaborato. L’autosostentamento di un gioco è, in egual modo, legato a un concetto di creazione, non tanto nel senso fisico del termine, quanto in quello di proposizione creativa. Immaginiamo di vedere dei bambini giocare per la strada. L’introduzione nella sfera ludica, da parte di uno di loro, di un semplice pezzo di legno è, in realtà, prodotto di una fantasia creativa: l’oggetto in questione può essere una spada, una bandiera o un segnale d’emergenza. Il suo fine ultimo è quello di innervare nuova linfa e dinamica all’atto del giocare, di ampliarne i confini e garantirne riuscita e sopravvivenza; una volta conclusa la sua missione è scartato ma non dimenticato, probabilmente rielaborato fino ad assumere nuova valenza semantica nell’ecosistema ludico.

Verificato che due delle tre caratteristiche enunciate soddisfano il nostro ragionamento, teso a dimostrare l’esistenza di una sfera ludica nel senso ecologico del termine, non ci resta che focalizzarci sull’ultima categoria ancora in sospeso, capace di chiudere il nostro cerchio: i limitati scambi materiali con l’ambiente esterno.

Il giusto bilanciamento tra permeabilità e impermeabilità è alla base per il corretto funzionamento di un qualsiasi ecosistema; è necessario uno scambio materiale limitato ma possibile, che permetta l’immissione di elementi compatibili con le regole del sistema di cui entrano a far parte.

La sfera del gioco è, a sua volta, un sistema implicitamente chiuso, al di fuori dal mondo reale ma che accetta, seppur in maniera limitata e limitante, degli scambi reciproci con la realtà stessa. A questo punto non ci sembra più un azzardo introdurre il termine LUDOSFERA, a indicare un ecosistema chiuso appartenente alla dimensione ludica.

Infatti, elementi propri della realtà oltrepassano la barriera porosa del cerchio magico e divengono elementi fondamentali per l’ecosistema stesso; viceversa, elementi nati all’interno della ludosfera trasmigrano a loro volta nella sfera della realtà, generando cortocircuiti nuovi. Giocare è un’impronta, una memoria, lasciata in un mondo parallelo e che, tramite punti di contatto (qualcuno di voi ricorderà il film Upside Down[1]) migrano e influenzano la sfera del reale.

In quest’ottica pensiamo ai giochi pervasivi e allo speculative design (Bruce Sterling in Tanenbaum 2014). La loro peculiarità è di ipotizzare realtà alternative da interrogare al fine di comunicare un’impronta concreta reale nel presente e nell’immediato futuro.

Ciò che va a delinearsi nello speculative design, fortemente intriso di elementi ludici, è l’investigazione di mondi, di nuovi ecosistemi, tramite una proposizione creativa volta a immaginare cose che “esistono in un questo mondo e allo stesso tempo appartengono ad un altro che non esiste ancora” (Dunne e Raby, 2013). Prodotti di questo mondo sono i cosiddetti prototipi diegetici che non solo servono per raccontare una storia, appartenente al loro ecosistema, ma anche la loro realizzabilità futura e l’importanza potenziale di una tecnologia[2].

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Gabriele Ferri, Prototipo diegetico utilizzato per Cognoscenti, via Indiana University

Un forte legame tra gioco ed ecobiologia è confermato dall’automa cellulare conosciuto come “Gioco della vita”, elaborato negli anni Sessanta dal matematico inglese John Conway. Lo scopo dell’automa è di mostrare come comportamenti simili alla vita possano emergere da regole semplici e interazioni a molti corpi. Presentato per la prima volta nell’edizione 1970 di Scientifica American, l’automa è assimilabile a una macchina di Turing universale e presenta alla base una logica algoritmica in grado di elaborare e interlacciare tra loro i differenti input che vengono immessi nel sistema. Il campo da gioco è una griglia (denominata mondo) di caselle quadrate (celle) che si estende all’infinito in tutte le direzioni. Ogni cella ha otto vicini, che sono le caselle ad essa adiacenti, includendo quelle in senso diagonale. Ognuna di esse può trovarsi in due stati: viva o morta (o accesa e spenta, on e off). Lo stato della griglia evolve in intervalli di tempo discreti, cioè scanditi in maniera netta. Gli stati di tutte le celle in un dato istante sono usati per calcolare lo stato delle celle all’istante successivo. Tutte le celle del mondo sono quindi aggiornate simultaneamente nel passaggio da un istante a quello successivo: passa così una generazione.

Le transizioni dipendono unicamente dalle celle vicine in una determinata generazione:

1) Qualsiasi cella viva con meno di due celle vive adiacenti muore, come per effetto d’isolamento;

2) Qualsiasi cella viva con due o tre celle vive adiacenti sopravvive alla generazione successiva;

3) Qualsiasi cella viva con più di tre celle vive adiacenti muore, come per effetto di sovrappopolazione;

4) Qualsiasi cella morta con esattamente tre celle vive adiacenti diventa una cella viva, come per effetto di riproduzione.

 

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John Conway, Il gioco della vita, via Wikipedia

Questo gioco conferma come un ecosistema ludico può essere assimilato ad uno biologico, e come le tre componenti possono ritrovarsi ed essere riconosciuti in simulazioni ludiche e di gioco nei rapporti di mutua influenza nello spazio e nel tempo.

La ludosfera, inoltre, non solo ammette scambi tra realtà e mondo del gioco, ma può contenere l’ipotesi di differenti ecosistemi connessi tra loro in costruzioni ludiche che puntano a delineare l’esistenza di sfere singolari ma connesse. È il caso di costruzioni quali Empyrea, gioco basato sulla coesistenza di mondi paralleli, rappresentato come sette anelli concentrici caratterizzati ognuno dal proprio ecosistema, dove dai vari mondi vi è la percezione del mondo sottostante e della proiezione dell’anello superiore. Ognuno di questi livelli è puntualmente collegato con quelli superiori, con i quali condivide azioni di mutuo scambio atti alla propria sopravvivenza. È il “salto” dimensionale l’elemento chiave, che consente un movimento verticale, opponendosi all’orizzontalità dello scorrere del tempo in uno spazio piatto.

Giocare è, quindi, una negoziazione continua tra i personaggi coinvolti, tra il contesto reale e quello immaginifico, nel quale l’attività ludica trova la sua espressione; se questa negoziazione va a buon fine l’omeostasi del sistema sopravvive e le sue categorie rompono i limiti del sensibile portando la Ludosfera nella realtà e intessendo con essa scambi e rapporti sistemici.

L’esistenza di un sistema di regole e variazioni garantisce l’equilibrio del sistema e permette oscillazioni compatibili con le regole che dominano le spazialità nelle quali ci troviamo immersi. È un gioco, quello dei mondi, dove non esistono vincitori né vinti, esistono al contrario parti libere e mobili che, trovando una loro collocazione, generano spazialità nuove interconnesse dinamicamente e dove, la sopravvivenza di ogni singolo sistema è in qualche modo legato all’intensità e alla qualità degli scambi con quelli ad esso vicino.

Valerio Perna | nITro

 

BIBLIOGRAFIA

Huizinga Johan, (1936) Homo Ludens, 12°ed. Milano: Einaudi

Fink Eugen, (1957) L’oasi del gioco, Milano: Raffaello Cortina Editore

Caillois Roger, (1994) I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Milano: Raffaello Cortina Editore

Thibault Mattia (a cura di), (2016) Gamification Urbana. Letture e riscritture ludiche degli spazi urbani. Ariccia: Aracne

Dunne Antony, Raby Fione, (2013) Speculative Everything: Design, Fiction and Social Dreaming, Cambridge: MIT Press

Tanenbaum Joshua (2014) Design Fictional Interactions: Why HCI Should Care About Stories. “Interactions”, 21(5): 22-23

Saggio Antonino (2016) Paesaggi culturali in Matteo Baldissara, Marta Montori, Teodora M.M. Piccinno (a cura di), Cosmo, Materia, Cultura, Raleigh USA: Lulu.com, 115

 

NOTE

[1] Upside Down è un film del 2012 scritto e diretto da Juan Solanas, interpretato da Kirsten Dunst e Jim Sturgess.

[2] se pensiamo ai film di fantascienza degli anni Settanta, è innegabile riconoscere come alcuni di quegli elementi futuristici che tanto facevano sognare i nostri genitori, sono oggi a portata delle nostre mani proprio grazie allo speculative design che le ha generate

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