
The Tokyo railnetwork experiment, via Science
Che cosa è l’intelligenza? Una generale definizione, comunemente accettata dalla psicologia, è quella che vede l’intelligenza come la capacità di acquisire conoscenze da utilizzare in situazioni inedite, adeguando le strategie individuali alle caratteristiche dei problemi, agli obiettivi perseguiti e ai risultati ottenuti. Certo, come è ben noto, questa generale definizione non è onnicomprensiva delle qualità dell’intelligenza e, seppur condivisa nei suoi caratteri generali dalla comunità scientifica, consente una serie di variazioni e specificazioni. È infatti nota ai più la teoria di H. Gardner che individua ben nove diverse componenti dell’intelligenza, l’una indipendente dall’altra, ciascuna legata ad una specifica area di applicazione: quella logica, quella spaziale, quella interpersonale etc. Lo sviluppo di ciascuna categoria dell’intelligenza risente da una parte di fattori esperienziali e di crescita ambientale, ma ha certamente anche una relazione con la conformazione fisiologica del nostro organismo. In particolare recenti studi[i] dimostrano come lo sviluppo e le potenzialità delle singole componenti intellettive siano legate da una parte alla qualità e all’efficienza delle connessioni neurali e, dall’altra, dalla distribuzione di materia grigia nelle diverse aree cerebrali e dalla qualità e quantità di grasso dei baccelli che formano il tessuto neurale.
Ma se esiste una connessione fisica tra lo sviluppo neurale e quello dell’intelligenza è lecito supporre che quest’ultima sia prerogativa esclusiva di organismi dotati di un sistema neurale evoluto? Se mettessimo a confronto la definizione preliminare data di intelligenza con le ultime considerazioni saremmo in grado di trovare una zona grigia: e se esistesse un organismo non dotato di sistema neurale ma pur capace di acquisire informazioni, utilizzarle in situazioni inedite e sviluppare capacità di adattamento? Un caso emblematico di questa capacità, che potremmo definire come intelligenza naturale, è quello della physarum polycephalum, una melma policefala unicellulare appartenente alla famiglia dei funghi mucillaginosi. Si tratta di un organismo che presenta caratteristiche quantomeno singolari: innanzitutto la sua capacità di muoversi verso fonti di cibo attraverso un principio di locomozione definito come flusso di spola, ovvero secondo un movimento di espansione e contrazione cicliche del protoplasma; la muffa presenta inoltre la capacità di rintracciare i precedenti percorsi del proprio flusso utilizzando le secrezioni di protoplasma come una “memoria esterna”. La combinazione di queste due caratteristiche dotano la physarum polycephalum di capacità che soddisfano quei requisiti che costituiscono la generale definizione di intelligenza: già nel 2000 infatti Toshiyuki Nakagaki, Hiroyasu Yamada e Ágota Tóth pubblicavano un articolo sulla rivista Nature[ii], dimostrando come la muffa avesse la capacità di risolvere complessi labirinti (soddisfacendo dunque la capacità di acquisire informazioni per applicarle in situazioni inedite). Ma c’è di più: un team di studiosi belgi e francesi ha recentemente pubblicato un articolo su Proceedings of the Royal Society B, dimostrando come la muffa policefala sia anche in grado di apprendere dal contesto modificando il proprio comportamento: frapponendo tra la physarum polycephalum e le sue fonti di cibo delle chiazze di caffeina, sostanza irritante per la muffa, i ricercatori hanno riscontrato come, dopo alcune iterazioni, l’organismo unicellulare modificasse il proprio percorso per evitare l’irritazione, implementando un meccanismo di apprendimento per assuefazione e soddisfacendo anche il secondo requisito dell’intelligenza.

Physarum Polycephalum, via Pinterest
La physarum polycephalum non è però l’unico esempio di intelligenza che sfugge alle definizioni classiche. Nel 1994, infatti, Pierre Lévy pubblica il libro “L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio”, con il quale introduce il concetto di intelligenza collettiva, una forma di intelligenza distribuita ovunque, dinamica e valorizzata dalla differenziazione delle sue componenti. Il meccanismo fondamentale dell’intelligenza collettiva è duplice: da una parte risponde al principio olistico per cui il tutto è più della somma delle sue parti, dall’altra funziona come un sistema di rete per cui alcuni nodi ricevono più informazioni di altre, solidificandosi e acquisendo una maggiore importanza nel sistema. Quest’ultima caratteristica denota l’intelligenza collettiva anche della capacità di “selezionare” le informazioni, funzionando come un filtro che permette la consolidazione di informazioni ritenute di maggiore importanza. Le teorizzazioni di Lévy si appoggiano certamente sulla teoria di E. Morin, ma risentono anche dell’approccio olistico di V. Vernadsky, teorizzatore, nei primi decenni del XX secolo, della noosfera. Fu Vernadsky infatti a rendere popolare il concetto, già anticipato da E. Suess, di Biosfera: l’idea cioè che il mondo in cui viviamo debba essere considerato un ente unico, chiuso e caratterizzato dalla capacità di auto organizzarsi e auto riprodursi. La biosfera, per Vernadsky, racchiude tutto ciò che è materia animata, e rappresenta il secondo stato di evoluzione del globo terrestre, dopo quello della materia inerte, nominato geosfera. A completare l’evoluzione del nostro habitat, secondo Vernadsky, è la fase della noosfera, la sfera del pensiero umano, intendo con questo termine riferirsi alla fase di trasformazione del globo in cui la conoscenza e il comportamento umano hanno influito sul suo sviluppo e la sua conformazione. Su questo ultimo punto occorrono due precisazione: per Vernadsky non erano semplicemente le azioni dell’uomo a modificare la biosfera, ma anche lo stato di conoscenza e comprensione a cui era arrivato come totalità, come sfera umana. La seconda precisazione riguarda la costante, incessante evoluzione a cui il globo è sottoposto: se Vernadsky teorizza la noosfera negli anni ’20, come dovremmo chiamare oggi lo stato in cui il globo si trova? Se l’evoluzione dell’intelligenza collettiva è stata drammaticamente accelerata dalla nascita dei new media e del web, certamente anche il suo impatto sul pianeta è cambiato. La contrapposizione novecentesca tra spazio antropico e spazio naturale appare oggi superata: dai poli alle foreste del Madagascar, la sfera è oggi più che mai antropizzata, con tutto ciò che questo comporta. Possiamo così teorizzare di essere passati dalla noosfera alla sfera urbana, od urbanizzata.

Intelligence: maze-solving by amoeboid organism, via Nature
È chiaro che un sistema di una tale complessità presenta tutte le problematiche dei propri simili: come rappresentare, modellare e prevedere lo sviluppo di una rete di intelligenza globale? Una ipotesi, avvalorata anche da numerose ricerche in ambito architettonico ed urbano, è quella di utilizzare le capacità adattive, di apprendimento e di previsione della physarum polycephalum per implementare un modello di simulazione e perfezionamento della grande rete globale. Se è stata già comprovata la capacità della muffa policefala di riprodurre o migliorare le reti infrastrutturali di grandi metropoli (si vedano gli esperimenti sulla rete infrastrutturale di Tokyo o Melbourne), se C. Pasquiero e M. Poletto hanno realizzato dei modelli computazionali in grado di associare lo sviluppo urbano a quello di un sistema biologico[iii], cosa succederebbe allora se allargassimo il campo di analisi dal singolo ecosistema all’intero globo? Certo il modello della melma policefala rimarrà sempre un sistema semplificato della reale complessità di sistemi di intelligenza collettiva o sviluppo globale, ma la sua capacità di previsione e ottimizzazione, unita alla possibilità di reiterare il processo per l’intero ciclo vitale dell’organismo, forniranno certamente interessanti indicazioni e nuove possibilità di sviluppo per il pianeta.

Elaborazione algoritmica a cura dell’autore
Matteo Baldissara | nITro
NOTE
[i] Erica N. GrodinTara L. White (2015) “The neuroanatomical delineation of agentic and affiliative extraversion”, in Cognitive, Affective, & Behavioral Neuroscience n.° 15, pagg. 321-334, Springer, US
[ii] Toshiyuki Nakagaki, Hiroyasu Yamada, Ágota Tóth (2000) “Intelligence: Maze-solving by an amoeboid organism” in Nature vol. 420
[iii] Marco Poletto, Claudia Pasquiero (2016) “Cities as biological computers”, in arq: Architectural Research Quarterly, Cambridge University Press