Da qualche anno si moltiplicano i progetti artistici conviviali, festivi, collettivi o partecipativi, che esplorano multiple potenzialità delle relazioni con l’altro. Il pubblico è sempre più all’improvviso preso in considerazione.
[Nicolas Bourriaud, Estetica Relazionale, 2010, orig. 1998]
Tale approccio, che lo stesso critico francese definisce “relazionale”, non riguarda il solo mondo dell’arte ed è sempre più spesso alla base di fenomeni di rinascita dei territori il cui risultato è una ridefinizione di senso degli stessi. Ciò avviene attraverso pratiche e strumenti specifici che innescano dinamiche di ri-territorializzazione da parte delle stesse comunità di cittadini.
#Restarterritories intende mettere a fuoco tali fenomeni, con particolare attenzione ai metodi e agli strumenti (workshop, eventi, urban gaming, etc.). Si parla dunque di territorio e ci sembra importante darne una definizione. Esso è qui inteso come sistema, fatto di interrelazioni tra componenti sia materiali che immateriali, risultato di lunghi processi di stratificazione nel tempo. L’indagine si concentra sui fenomeni agenti non tanto alla scala metropolitana, quanto sulle realtà urbane/territoriali caratterizzate da una scala medio-piccola, detentrici di risorse culturali radicate e significative, in grado di poter essere valorizzate generando nuovi processi culturali e nuovi valori urbani. In particolare, l’attenzione è posta su quei processi che si generano dall’ibridazione di approcci, ambiti e discipline diverse.
Si delinea così uno scenario che prova da un lato a mettere a sistema le best practices di territori virtuosi in grado di intepretare le dinamiche del mutamento in atto, e dall’altro mira ad identificare il ruolo degli “agenti” e degli strumenti che favoriscono il cambiamento nell’ambito di strategie e progetti alla scala urbana.
Una serie di esperienze legate a spazi dell’innovazione che sono radicati nei territori, che puntano alla rinascita di spazi abbandonati, attraverso pratiche di risignificazione dello spazio pubblico e di ridefinizione del concetto di bene comune.
Tali pratiche promuovono una valorizzazione del capitale relazionale esistente e vedono la partecipazione attiva della società civile che riesce così a recuperare relazioni interrotte o perse. Lavorare sulle reti di relazioni sinergiche permette di superare i modelli dicotomici (centro/periferia, città/campagna, urbano/rurale) e di trarre valore dalle diversità e dalle specifiche peculiarità. Il risultato diventa la ridensificazione degli insediamenti, secondo una logica a rete integrata, votata alla mixitè funzionale e la produzione di complessità sociale e interazione inclusiva.
Pensare l’architettura del territorio significa anche volgere l’attenzione ad alcune concetti chiave che la cultura progettuale contemporanea esprime, come basso consumo di suolo, risparmio delle risorse naturali, dinamiche bottom-up, riuso del patrimonio esistente, condivisione sociale delle trasformazioni, diritto diffuso alla qualità della vita. Si tratta dunque di aprire la cultura del progetto urbano e architettonico a nuovi percorsi di responsabilità e di utilità sociale, consapevoli dell’interdipendenza tra il pensiero globale e l’azione locale sul territorio.
On/Off Magazine Editorial Staff | nITro Saggio