Saline Joniche, in provincia di Reggio Calabria, è uno dei più grandi simboli dello spreco che ha caratterizzato gli anni del boom economico italiano, quando, inseguendo la chimera dello sviluppo industriale, i luoghi più belli del sud sono stati stravolti dalla costruzione di giganteschi stabilimenti industriali che non hanno mai funzionato ed hanno solo apportato povertà distruggendo il paesaggio e cancellando antiche tradizioni. Lungo questa costa che, affacciandosi sullo Stretto di Messina, guarda il Vulcano Etna si praticavano colture come quella del gelsomino e del bergamotto ed insistevano le famose saline di Reggio di cui rimangono oggi solo due laghetti che formano una zona umida che, per la sua importanza in quanto habitat naturale che garantisce il mantenimento della biodiversità, è elencata tra i Siti di Interesse Comunitario dell’Unione Europea.
Qui, in nome di una falsa idea di sviluppo, sono state localizzate numerose strutture industriali che non sono mai entrate in funzione, come le Officine Grandi Riparazioni (il più grande centro per la riparazione dei vagoni ferroviari del sud d’Italia) e l’ex Liquichimica, un impianto che è il frutto del così detto “Pacchetto Colombo”: 300 miliardi di lire spesi per realizzare un un’area industriale di settecentomila metri quadri, estesa per due km lungo la costa, addetta alla produzione di mangimi animali derivati dal petrolio che non ha funzionato neanche un giorno poiché, appena conclusi i lavori, il Ministero della Sanità ha certificato che la produzione è cancerogena costringendo alla cassa integrazione i 750 lavoratori appena assunti.
Per questo impianto che ha arricchito solo chi lo ha costruito e che, secondo molti, è il frutto di un patto non scritto tra lo Stato e la mafia, è stato elaborato di recente un contestato e folle progetto di riutilizzo per impiantarvi una centrale a carbone da 1320 MWe che, incurante delle istanze della comunità insediata, sta continuando il suo iter approvativo.
Per verificare la fattibilità di un’alternativa al carbone e rispondere in maniera propositiva alle proteste e preoccupazioni del comitato di associazioni e cittadini riunitosi nel Coordinamento delle Associazioni dell’Area Grecanica per dire no al carbone, nel 2012, la Provincia di Reggio Calabria ha indetto il Concorso internazionale per la “Riqualificazione del waterfront di Saline Joniche e la realizzazione di un Parco naturale e Antropico”. Il concorso è stato vinto dal team organizzato e coordinato dagli architetti dello studio AutonomeForme di Palermo che, per l’occasione, ha coinvolto lo studio Grupoaranea e la serie di qualificati consulenti italiani con cui ha da tempo stabilito un rapporto di collaborazione sui temi della sostenibilità ambientale e del recupero dei waterfront.
Sin dalla sua fondazione, AutonomeForme ha sviluppato un lavoro di ricerca e progetto basato sulla relazione tra architettura e paesaggio, sulla riattivazione delle Z.T.A. (Zone Temporaneamente Abbandonate) e sul recupero di aree industriali dismesse, elaborando una metodologia di lavoro basata sul progetto di una “architettura a volume zero” che permette di recuperare quelle così dette “cattedrali nel deserto” che, a causa dello sconsiderato processo di industrializzazione che ha stravolto il nostro paese, sono state disseminate in Italia ed in particolar modo nelle regioni del Sud. Nel caso della Sicilia, questo sistematico attentato al patrimonio storico ambientale ha interessato soprattutto le aree di bordo dell’isola occupando aree di particolare pregio come quella di Gela, Siracusa e Messina. Luoghi che sono accomunati da un medesimo destino in cui convivono la devastazione ambientale e sociale, lo spreco delle risorse e la creazione di nuove povertà. Il progetto di ricerca, interrogandosi sul fallimento occupazionale e sullo stravolgimento dei contesti naturali ed antropici causato dall’inserimento di queste “cattedrali nel deserto”, ha posto in essere una serie di strategie processuali e metodologie basate sulla rinaturalizzazione controllata dei luoghi e sul recupero delle aree industriali dismesse come luoghi in cui accogliere nuove forme di socialità, produzione sostenibile e creatività.
Questa sperimentazione, messa a punto a partire dal 2000 nei progetti di recupero delle aree dismesse poste sulle coste di Catania, Gela, Siracusa, Messina e Palermo, è stata successivamente applicata nell’elaborazione di proposte per la rivitalizzazione delle aree industriali di Napoli-Bagnoli, Venezia e Torino, solo per citarne alcune. Nel caso di Saline Joniche, a partire dalla scelta di prendere parte al concorso bandito dalla Provincia di Reggio Calabria, l’obiettivo è stato quello di dimostrare che, proprio partendo dal sud, è possibile mettere fine allo spreco e promuovere una nuova idea di sviluppo sostenibile basata sulla tutela e valorizzazione del paesaggio e delle risorse naturali e antropiche.
Il progetto del Parco Naturale e Antropico di Saline Joniche investe un’area di oltre 170 ettari posta lungo 8 km. di costa e propone una strategia per invertire la rotta dello spreco che ha depredato questi luoghi dimostrando che, promuovendo una nuova idea di recupero del paesaggio supportata dall’uso delle nuove tecnologie applicate all’ecologia, è possibile percorrere un’altra via di sviluppo dell’area, poiché questo luogo che è la porta dell’area grecanica, grazie alla sua posizione geografica e allo straordinario patrimonio culturale, storico e ambientale, ha le risorse per tornare a vivere.
Per l’elaborazione del progetto AutonomeForme ha condotto un lavoro di analisi dei luoghi, attraverso la realizzazione di sopralluoghi e di una serie d’interviste con gli abitanti che hanno permesso di rintracciare e mettere a sistema le energie e forze innovatrici presenti nel territorio rafforzando l’idea di un progetto in cui tutela del paesaggio, utilizzo delle nuove tecnologie applicate alla green economy e turismo solidale possono essere la chiave per uno sviluppo finalmente sostenibile di questa terra del sud. Malgrado le aggressioni ambientali subite, questo territorio ha conservato una propria capacità di rigenerarsi e la resilienza della sua comunità che, nel reagire alla minaccia del carbone, sta dimostrando di sapersi riorganizzare in maniera propositiva formulando nuovi modelli di sviluppo dell’area. In questo senso, il progetto del Parco naturale e antropico di Saline Joniche assume significati e valenze innovative per le quali la comunità locale, che sta già avviando una serie di interessanti iniziative imprenditoriali e sociali connesse al recupero delle tradizioni, al turismo ed alla green economy, può trovare nuove forme di condensazione della propria creatività e capacità produttiva.
La strategia proposta nel caso di Saline Joniche permette di costituire un nodo locale della rete globale capace di attivare nuovi cicli vitali.
Partendo dalla dismissione del porto che viene ciclicamente insabbiato per la sua errata posizione allo sbocco della fiumara e dalla rinaturalizzazione della costa, si propone il disegno di un parco marittimo nell’area industriale della ex Liquichimica dove, attraverso un processo di rinaturalizzazione controllata dell’area, il sistema dei pantani viene ampliato favorendo la creazione di nuove saline e il ripascimento della costa.

SalineJoniche: Vista del giardino infinito all’interno della Officine Grandi Riparazioni ©AutonomeForme
L’impianto delle Officine Grandi Riparazioni (O.G.R.) è sottoposto a un processo di smaterializzazione che permette di interpretarlo come una grande rovina che si dissolve e nel paesaggio circostante. L’intervento rappresenta il motore per la rigenerazione dell’intera area poiché gli spazi dell’impianto diventano un centro per la ricerca e il recupero dei paesaggi, con un vivaio, laboratori e spazi per start up orientate alla green economy. Il recupero delle O.G.R. e le energie attivate dalla rinascita di Pentadattilo sono progettati per integrarsi con i processi di rigenerazione del waterfront permettendo di creare una trama unica che s’innerverà nell’area di Saline Joniche favorendone la rinascita, l’attrattività e una nuova e duratura sostenibilità sociale, economica ed ambientale caratterizzata da usi solidali ed ecologici.
La strategia proposta lungo la costa innesca nuove relazioni tra le varie parti e rinsalda la relazione tra il mare e le montagne circostanti che costituisce una delle cifre identitarie di questa regione. Questa relazione assume un particolare rilievo nell’intervento sul borgo di Pentedattilo, uno splendido e antico villaggio quasi totalmente abbandonato, che è stato recentemente riscoperto grazie al lavoro dell’agenzia territoriale Borghi Solidali e che viene collegato alle nuove strutture del parco e rilanciato come città dell’intercultura e porta dell’Area Grecanica.
Dopo la vittoria al concorso bandito dalla Provincia di Reggio Calabria, il progetto del parco naturale ed antropico di Saline Joniche ha continuato a riscuotere ulteriori successi ottenendo il primo premio nella competizione internazionale Holcim Awards 2014 per l’Europa, promosso dalla Fondazione Holcim e, successivamente il premio Urbanistica 2014. Fin qui sembrerebbe una storia a lieto fine, eppure, lo spettro del carbone e della devastazione ambientale continua a minacciare questi luoghi di straordinaria bellezza poiché, malgrado la ferma opposizione della comunità locale e l’interesse internazionale suscitato dal progetto di valorizzazione di questi luoghi, l’iter di approvazione della centrale a carbone continua a fare il suo corso.
guest writers: Marco Scarpinato, Lucia Pierro | AutonomeForme
AutonomeForme | Architecture • Landscape, fondato dagli architetti Marco Scarpinato e Lucia Pierro, ha come obiettivo la definizione di nuove strategie urbane basando la sua attività progettuale sulla relazione tra architettura e paesaggio e sulla collaborazione interdisciplinare. Il team ha ottenuto riconoscimenti in premi e concorsi di progettazione internazionali.
Marco Scarpinato, architetto, si è laureato all’Università di Palermo e successivamente si è specializzato in Architettura dei Giardini e Progetto del Paesaggio presso la Scuola Triennale di Architettura del Paesaggio dell’Università di Palermo. Dal 2010 sta curando la ricerca Desert de Poche / Deserti Tascabili incentrata sui paesaggi del Mediterraneo con un focus sulla Tunisia. Vive e lavora tra l’Italia e i Paesi Bassi.
Lucia Pierro, architetto, dopo la laurea con lode all’Università di Palermo ha seguito il Master in Restauro e Riqualificazione Urbana alla Facoltà di Architettura RomaTre e frequentato un corso di Alta Specializzazione alla Scuola Normale di Pisa. Attualmente svolge attività di ricerca presso il D.A.St.U. del Politecnico di Milano.