URBEE. Le api romane

 

“Quando le api non ci saranno più, gli uomini si estingueranno”
Albert Einstein

Questa affermazione che sa di profezia ci fa capire l’importanza delle api nel nostro ecosistema, attraverso l’impollinazione infatti esse hanno un ruolo fondamentale nei cicli alla base delle attività agricole e quindi nella relativa fetta d’economia. Tanto che negli Stati Uniti è stata lanciata una politica di provvedimenti per la salvaguardie delle api con investimenti fino a 50 milioni di dollari.

Ma oltre a questo esiste un ulteriore livello che è utile approfondire: se pensiamo come la qualità delle città sia pari alla qualità delle relazioni che in essa si innescano, anche in relazione all’uso delle nuove tecnologie, e al concetto di “intelligenza connettiva”, ci rendiamo conto quanto possiamo imparare dal comportamento e dalla struttura sociale delle api al fine di leggere i fenomeni urbani.

flyer urbee

Urban Experience è stata promotrice di “Urbee” un’iniziativa tesa a promuovere l’apicoltura urbana nella città di Roma.

In questa intervista Carlo Infante ci spiega il senso di questa l’iniziativa.

S.M. Cosa ci insegna il modello delle api dal punto di vista civico/sociale?

C.I. L’intelligenza naturale delle api è fonte d’ispirazione per la creatività connettiva espressa nel web, essa riguarda principalmente la capacità di coordinare attività complesse senza alcun regista, in un’energia sociale spontanea, contagiante. Pensa che l’osservazione degli sciami ha sollecitato un ambito della ricerca informatica definito swarm intelligence (l’intelligenza dello sciame), il quale analizza i vasti insiemi di individui che riescono a portare a termine gli obiettivi sfruttando meccanismi di cooperazione.

La struttura degli sciami rappresenta una straordinaria “parallelizzazione” che ottimizza l’attività di tutti gli individui della colonia sincronicamente: è su questo stesso processo che si basa la procedura in parallelo dei sistemi informatici i quali utilizzano contemporaneamente tutte le unità di calcolo dei processori disponibili.

Tale processo è attivato da un comportamento virtuoso che induce ulteriori atti, condividendo e modificando l’ambiente attraverso la comunicazione. Partendo da questa considerazione, la danza delle api può esprimere un modello biologico dell’intelligenza connettiva espressa dalle reti, come condizione che oggi si espande sia attraverso il web 2.0 sia con le smart grid, le reti intelligenti che rilanciano il principio informatico degli assetti paralleli, come quelle che vengono oggi utilizzate per l’ottimizzazione della distribuzione d’energia elettrica. Ma è nel web 2.0 che accade ciò che più m’interessa.

Riguarda la qualità possibile di una comunicazione che si evolve nella misura in cui l’energia connettiva riesce a raggiungere un andamento di conversazione che può rasentare l’empatia. Il termine più appropriato per questa conversazione on line è crowdsourcing, un concetto che rilancia l’idea di vox populi che conosciamo anche come passaparola.

S.M. In che cosa consiste la danza delle api?

C.I. L’idea della danza delle api era emersa nel 1999 (nell’ambito del festival teatrale Contemporanea di Prato) dove era stato realizzato uno dei primi blog (non solo in Italia). In quel contesto aveva trovato luogo il progetto definito “alveare”, connotato per work in progress teatrali; per combinazione immaginaria ripescai dalla mia memoria alcune letture sulle teorie di Karl Von Frisch a proposito del comportamento delle api nel tracciare i percorsi alla ricerca del nettare. Ha cosi preso forma, in una sorta di metafora ispirata alla danza delle api, l’attività degli spettatori che riportavano  sotto forma di scrittura connettiva, propria dei blog, i loro sguardi teatrali alla ricerca del nettare teatro.

La danza delle api, sulla base delle ricerche di Von Frisch, rappresenta un esempio emblematico di come un’azione possa produrre un’informazione tale da sollecitare una reazione conseguente e simile, per induzione intelligente. Un linguaggio specifico espresso da un’azione precisa e formale indica l’avvicinamento al nettare. Se questo non è più distante di 80 metri, le api bottinatrici fanno una danza circolare, eccitando tutte le altre. Se le fonti del nettare sono più lontane si crea una danza scodinzolante (o dell’addome) che tende a dare informazioni su distanza e direzione dell’obiettivo.

S.M. Qual’è il nettare/miele dell’attuale società della conoscenza?

C.I.  Sono le informazioni pertinenti, nel caso di quel festival teatrale con il blog si era fatto un lavoro, o meglio un gioco, nel rilevare le “costanti performative”, i momenti topici di alcuni spettacoli, cercando i vari punti di connessione interessanti tra i vari sguardi degli spettatori.

Più in generale potremmo parlare di come discernere i “big data”, cercando di selezionare i dati più pertinenti in relazione alle necessità degli utenti. Direttamente connesso a questo ultimo ragionamento c’è quello che riguarda gli “open data”,    la cui condizione sottende un riuso delle informazioni in una pratica collaborativa che esprime un nuovo valore d’uso dell’informazione come bene comune. Un fenomeno strategico che però la governance del nostro Paese sembra contrastare se pensiamo al recente decreto legge che tende a tassare (anche se più che una tassa è una sorta balzello, a favore della SIAE) i vari devices digitali in quanto, secondo alcuni, minano i diritti d’autore. E’ una logica debole e coercitiva che tende ad indebolire l’approccio creativo nei confronti del riuso delle informazioni.

S.M. Tornando alle api, Urban Experience si sta interessando all’apicoltura urbana. Di che si tratta?

C.I. L’apicoltura urbana è emblematica, dato che le città non sono più da tempo accentramento di produzione industriale ma luoghi in cui va reinventato, nelle più diverse forme, un modello di sviluppo possibile. E’ un fenomeno che si è sviluppato in questi ultimi anni in molte capitali europee, da Parigi a  Londra, a Berlino; per non parlare di New York, dove c’è stato un vero e proprio exploit culminato nel New York Honey Festival del 2012.

L’esperienza più significativa è quella di Parigi.  dove la città conta più di quattrocento arnie posizionate sui tetti di luoghi pubblici-simbolo della città, quali l’Opera, musei, biblioteche, scuole.

Seguendo questa suggestione abbiamo promosso un’azione dal titolo “urbee, le api romane”.

Bee, in inglese, significa ape. Giocando con le parole ecco “UrBee”, che mette insieme urbe e bee: ape urbana. Le api della città, meglio ancora le api di Roma, l’Urbe per eccellenza.  Le api a Roma stanno bene, intanto non soffrono l’inquinamento, in parte sotto controllo per la sottrazione di piombo dalle benzine, inoltre Roma è una città che ha al suo interno ampie aeree verdi, per un paradosso urbanistico che è frutto della sua storia complessa (le vastissime proprietà della Chiesa). Non solo stanno bene le api (lontane da quell’agricoltura nemica che usa i pesticidi) ma questi “insetti sociali” possono contribuire a fare stare meglio tutti, grazie alla loro funzione di  monitoraggio ambientale.  Abbiamo quindi intrapreso un percorso per riflettere su come misurarsi con l’idea di smart city, a partire da una “alleanza” tra cittadini e api, per promuovere una nuova intelligenza urbana che sappia porre una nuova attenzione all’ambiente nella sua biodiversità.

Il Parlamento europeo nel 2010 ha approvato un’importante risoluzione per il futuro delle api riconoscendo l’apicultura come “un servizio pubblico di valore ambientale e di valore strategico per la società, pregevole esempio di occupazione verde per la conservazione della biodiversità e dell’equilibrio ecologico. Roma ha  una particolarità: è ricca di biodiversità grazie alle ampie macchie verdi naturali, se non selvatiche, all’interno dell’area urbana, con un clima particolarmente mite. Ciò rappresenta un habitat ideale per l’allevamento dell’Ape Ligustica, l’ape mellifera per eccellenza. Roma potrebbe diventare un importante incubatore per la salvaguardia e la valorizzazione del corredo genetico autoctono dell’Ape Ligustica, utile a contrastare la deriva genetica dovuta all’importazione sempre più massiccia di api regine provenienti da varie parti del mondo, con minore propensione alla produzione di miele.

L’apicultura urbana inoltre offre molti spunti di carattere sociale,  educativo ed ecologico, in più rappresenta un’attività importante per gli orti urbani, per le esigenze di impollinazione delle piante coltivate in città. Altro importante aspetto è l’utilizzo dell’ape come indicatore ambientale. Questo imenottero può raccogliere dati dell’ambiente che ispeziona mentre è alla ricerca di nettare e polline, monitorando una superficie di circa 3 km quadrati dal suo alveare. Questi dati possono rappresentare un sistema di campionamento rappresentativo, come è stato rilevato dalla rete nazionale del progetto BeeNet e in particolare dalla postazione situata nel centro di Torino (e in parte anche a Roma, nell’area del Parco dell’Appia Antica) per il bio-monitoraggio degli inquinanti urbani.

“UrBee” rappresenta dunque un gesto politico e poetico, che vede, nella specificità della nostra città, l’occasione per il risveglio di una coscienza ecologica per Roma smart city.

Saverio Massaro | nITro

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