“Tutti devono progettare! In fondo è il modo migliore per non essere progettati”.[1]
Yona Friedman, Eiffel Tower, 1960
[Pictograms by Yona Friedman from Negroponte’s Computer Aided Participatory Design in Soft Architecture Machines]
Quando vi troverete tra le mani “Tetti”[2] di Yona Friedman, prendetevi un momento per abbandonare ogni vostra aspettativa riguardo come dovrebbe apparire un comune testo che tratta di architettura. Ogni approccio teorico, caratteristico dei maggiori e più conosciuti testi dedicati alla materia, qui decade per lasciare spazio alla pratica, nell’obbiettivo d spiegare come realizzare un’architettura auto-costruita: uno strumento per permettere a chiunque di progettare l’ambiente in cui vivere, il proprio habitat. L’architetto, in tale contesto, diviene per l’utente guida nelle scelte da compiere e fornisce strumenti di facile comprensione attraverso le proprie conoscenze tecniche.
Questo lo spirito che anima Yona Friedman, quando raccoglie nel 1991 i suoi 29 manuali di studio sull’architettura auto-costruita, dei quali 16 in un primo volume e 13 in un secondo, che verranno poi riuniti in un unico testo e pubblicati solo nell’aprile del 2017, dopo essere stato vincitore del Grand Prize al quinto concorso di deisign del Japan Design Foundation.
Il lavoro portato avanti da Friedman, ed in parte anche dal collega Shaur, inizia negli anni settanta, quando il mondo si fa più grande grazie all’evolversi della tecnologia e nel fare il suo ingresso nell’era digitale e dell’informazione: si volge lo sguardo verso le diverse culture e territori, nell’intenzione di trovare nuovi approcci e stimoli all’interno di un relativismo culturale. Il lavoro di Yona si concentra sullo studio delle culture primitive e delle architetture popolari, che già avevano attirato l’attenzione di architetti come Van Eyck, Utzon, Coderch e Barragàn: l’interesse nasce nell’osservare quegli edifici vernacolari prendere forma dalla libera iniziativa del singolo abitante, che non rimane fine a sé stessa ma genera necessariamente una risposta da parte del contesto sociale ed ambientale in cui prende vita, così da generare un’organicità nel rapporto tra uomo ed ambiente. Durante un viaggio a San Paolo , nel 1978, Friedman rimane affascinato da ciò che accade nelle bidonville, all’interno delle favelas, ed in particolar modo dall’approccio con il quale l’abitante trattava le coperture delle proprie abitazioni spontanee, che risultavano essere la parte più carente sia dal punto di vista prestazionale che nella loro struttura: gli abitanti delle baracche avevano bisogno di soddisfare le loro esigenze primarie, quali il cibo e la realizzazione di un riparo, che tuttavia risultava essere la parte più complessa da progettare. Arrivò pertanto alla conclusione che “Anziché la proprietà del terreno, non sembra più logico concedere la proprietà del tetto (o quella dei prodotti coltivati dal suolo)?” Un tema, questo, che a trent’anni dalla stesura del libro risulta più che attuale: l’impiego di tecniche semplici e materiali poveri quanto l’attribuzione di un ruolo attivo alle persone svantaggiate nella gestione dei propri problemi oggi sono tornati al centro dell’attenzione, sia a causa di un ritorno all’impegno etico da parte degli architetti e professionisti, sia a causa degli effetti derivati dalla crisi politico economica negli ultimi anni.
Malgrado la ricerca, la principale innovazione promossa da Yona nell’affrontare un tema tanto complesso e delicato, non risiede nell’utilizzo di particolari materiali da costruzione (riguardo ai quali vi è un’ampia documentazione raccolta ed elaborata insieme al collega Shauer, soprattutto in merito all’uso del bambù come materiale da costruzione), ma nello strumento utilizzato dall’architetto, ovvero i propri disegni. Non si tratta di elaborati tecnici, ma di fumetti, vignette composte da linee semplici e stilizzate e per questo di immediata comprensione. <<Nella storia dell’architettura , lo strumento è sempre stato l’elemento fondamentale di rapporto con la materia della costruzione>>[3]. Friedman, nel doversi confrontare con analfabeti, trova nelle sue illustrazioni un mezzo semplice e chiaro per la comunicazione, specialmente all’interno di una società audiovisiva come quella del secondo dopoguerra, dove era necessario sfruttare la potenza dell’immagine, che si imponeva fortemente a quella della parola.
[Yona Friedman – Early ideas for Roofs, 1970s.]
<<Il disegno rappresentava le sintesi tra l’oggettività del modello matematico basato sulla relazione tra parti elementari e l’obbiettivo della chiarezza universale del messaggio comunicato. >>[4]
Roof non vuole essere un’enciclopedia pratica del costruire o del progettare, ma vuole fornire strumenti utili alla comunità tutta per sviluppare le capacità cognitive degli abitanti e restituire loro il potere di agire: il manuale vuole essere anello di congiunzione tecnologie moderne e conoscenze tradizionali.
Il manuale riesce benissimo in questo, proponendo una serie di schede che ripercorrono, vignetta dopo vignetta, il processo che porta alla costruzione di un tetto piano, di una cupola, di una trave reticolare, fino ad arrivare anche a forme particolarmente complesse, ma comunque di facile costruzione. Una sorta di compendio di regole, grazie alle quali l’abitante può giocare, realizzando il tetto che più si addice al suo stile di vita: nel costruire il proprio habitat, egli deve tenere conto dei problemi derivati dalla realtà sociale, ambientale e dalle proprie competenze tecniche.
Le scelte primarie di realizzazione di un tetto nascono :
- dalla selezione del materiale da costruzione: che siano locali e naturali, possibilmente anche rinnovabili.
- dalle necessità costruttive, come l’ampiezza della luce, la volontà di sorreggere un manto leggero piuttosto che uno pesante.
- dalla tecnica di autocostruzione, che sia semplice e comprensibile a chiunque.
[L’esplorazione di Friedman nella costruzione di Bamboo negli anni ’70 ha iniziato un’esplorazione sulle abilità del bambù e della sua crescita locale nelle vicinanze di Mullumbimby nella Contea di Byron. L’immagine qui sopra esplora possibili soluzioni di coperture per abitazioni a basso costo in India.]
All’interno di ogni scheda viene vengono specificati i casi nei quali utilizzare un particolare tipo di tetto piuttosto che un altro, e vengono specificate le tecniche da impiegare nella costruzione della copertura: a volte, queste possono essere molteplici e dovranno essere selezionate in base alle possibilità della persona e ai materiali locali reperibili. Ogni documento pone particolare attenzione in merito ad accorgimenti da tenere a mente in corso d’opera, oltre a proporre diverse soluzioni in merito ad attacchi a terra e tecniche di isolamento. Ulteriori accorgimenti vengono poi evidenziati per permettere all’abitante di gestire il proprio tetto nel corso del tempo, curandolo ed apportando i dovuti aggiustamenti e precauzioni affinché tale riparo continui nella sua funzione.
In conclusione, il manuale di Yona Friedman non rappresenta solamente un volume che tratta di architettura auto – costruita, ma diviene anche un testo che apre la mente a modi nuovi di trasmettere la materia al cittadino, sublime nel lasciare libero spazio alla fantasia e creatività del lettore che si lascia trasportare dalle sue vignette e scritti.
- Enzo Mari, Proposta per un ‘autoprogettazione, cit
- Yona Friedman, Tetti, Quodlibet srl, Macerata, 2017
- Antonino Saggio, Architettura e Modernità, cit.
- Andrea Bocco, Laura Trovato, Un catalogo di tecnologia Umanistica, Tetti di Yona Friedman, Quodlibet srl, Macerata, 2017
Silvia Primavera | nITro