ATMO-SPHERA. Architettura dell’aria

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Jacob de Gheyen , la Melancolia, incisione , 1569-1625. | Jacob de Gheyen , “Rana seduta su monete con a fianco una sfera: Allegoria della avarizia“. c1609.

In un noto disegno, Jacob de Gheyen raffigura la Melancolia. Nell’incisione delle quattro allegorie che rappresentano i Temperamenti e gli Elementi, la   Melanconia è la Terra. E qui, sotto un cielo notturno e stellato, un uomo siede meditabondo sul globo terrestre. Nel distico latino di Ugo Grozio, leggiamo: ”L’atrabìle (l’uomo nero, ossia la melanconia), funestissimo morbo dell’anima e dell’animo, opprime sovente il vigore dell’ingegno e degli spiriti vitali”. Ciò che sfugge è che lo stesso uomo melanconico, appollaiato sulla sfera terrestre, si configura come il perfetto dominatore di un universo che controlla avendo poggiato sulle gambe un globo trasparente e un compasso misuratore. Come dire che l’aspetto melanconico tradisce comunque una progettualità che, pur nelle tenebre in cui è avvolta, riesce comunque ad essere palese.

Un’altra incisione dello stesso autore vede una rana umanizzata che poggia la zampa, a mò di protezione, su di un globo non molto grande che gli si affianca. Tra queste due incisioni del Gheyen corre un sottile filo rosso dove la sfera gioca, come nel De Ludo Globi di Nicolò Cusano, un ruolo determinante. [1]

Nella prima immagine compaiono due sfere, una solida: la terra, ed un’altra opaca o trasparente; una composta di massa fisica, l’altra eterea e impalpabile. L’una rappresentazione della materia, l’altra della sua evanescenza.

Su quella solida si concentrerà tutta l’attività umana dalle origini ad oggi, modellandola, rimarcando di essa le pieghe, le faglie, o gli intimi recessi. Su di essa si è esercitato il mondo raccogliendo e organizzando le materie, che sempre ad essa appartenevano, fino a riconoscerle in agglomerati, masse, organismi spaziali, concrezioni organizzate che abbiamo, nel tempo, imparato a chiamarle architetture.

Di contro, un pensiero altro organizzava, entro globi evanescenti, un sapere diverso, fatto di allusioni, di umori, di sostanze eteree, dove si configurava un pensiero dell’altrove o una diversa dimensione per l’architettura.

Queste due sfere, apparentemente simmetriche, una piena ed una vuota, hanno generato una moltitudine di progetti e programmi, quasi due partizioni simboliche: quella solida consente all’architettura di viverla dal di fuori, quella trasparente dal di dentro. Su quella solida si può estendere un dominio, su quella trasparente ci si può installare come dentro un ventre materno.

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Nicolo Cusano, De Ludo Globi,Basilea, Bressanone, Archivio Diocesano, 1514.

Esserci ha sempre significato essere in una sfera o essere contenuti in una sfera”. (Sloterdijk 2017).

Ma l’esserci prevede anch’esso due soli modi d’esistere: risiedere nella terra con tutti i suoi dispositivi messi in gioco dall’abitare, che siano torri, castelli, abitazioni o grattacieli, che siano grotte, spelonche, anfratti, capanne o igloo, villaggi, città o ipermetropoli, queste forme abitative sono consustanziali al genere umano o animale se vogliamo.

Confermano l’appartenenza dell’uomo alla terra e, viceversa, la terra sembra completarsi con la presenza animale e vegetale. Ma tutto ciò rimarca l’ineluttabile legame che ci unisce al globo terrestre come casa estesa. Infatti esso non è altro che la nostra abitazione espansa oltre i confini del nostro pianerottolo, oltre i confini del nostro raggio di azione quotidiana. La terra è la dimora roteante che scopre, ora, la sua modesta estensione nello spazio, e l’uomo, uno dei suoi inquilini, estende sul suo manto le forme abitative come fossero cosa sola o casa sola.

L’altro modo di essere ha due aspetti uno meno fisico, più mentalista, allude a forme abitative collocate nella nostra psiche e nelle nostre visioni introspettive: noi abitiamo dove desideriamo abitare, come nei sogni, resi palpabili dalle realtà virtuali. Insomma il secondo livello costruisce mondi paralleli ed è sufficiente indossare un casco per essere trasportati in un altrove parallelo dove i confini si dilatano e le possibilità abitative si accrescono. Ed è ancora strano come i realizzatori di tali realtà o iper realtà non sappiano configurare spazi simili ai sogni o forme dell’abitare per la psiche disgiunta dal corpo, tranne per alcuni casi come nelle opere di Giuliana Cuneaz.

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Opera di Giuliana Cuneaz

Il secondo aspetto prefigura fughe dal mondo in cui viviamo, o con l’ausilio di zone di sospensione temporale, o con mezzi elevati nello spazio: capsule, navicelle, cellule spaziali, o proiettili verniani.

In essi si consuma quel distacco dalla terra, o quell’addio dalla condizione vegetativa e temporalizzata dell’abitare che dalla preistoria ad oggi ha agito sulla sedentarietà.

Spezzatosi tale cordone ombelicale tra l’uomo e la terra, o almeno in alcuni suoi tentativi, si tenta di riprodurre un ‘uovo’ sospeso in orbita con tutte le caratteristiche dell’autosufficienza.

Ecco sorgere, a mò d’esempio, fino a che la tecnica non ne garantisce un risultato oggettivo, capsule e sfere trasparenti di ogni tipo, noi prenderemo in esame solo tre autori per dei casi più significativi: Paolo Soleri in Arizona, Ugo La Pietra in Italia, gli Haus Ruker&co in Austria. Ricordando che quasi tutta l’architettura radicale veniva permeata da questa idea di un rifugio che avesse la pretesa di isolare dal mondo esterno, a volte come un’utopia urbana, fuori nel tempo ma dentro lo spazio dell’urbe; a volte come provocazione politica e sociale.

Questi acceleratori della coscienza abitativa hanno sfruttato le materie disponibili per attuare il loro progetto, dove facevano mostra di sè soprattutto materiali trasparenti, dal vetro al plexiglas. Includendo sempre la presenza umana, come quel fiore di Bosch nel giardino delle delizie, dove un nuovo Adamo e una nuova Eva potessero ricominciare un nuovo cammino, magari fuori dalla gravità terrestre che li incollava al suolo.

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Hironymus Bosch, Particolare di fiore con sfera trasparente , dal Trittico del Giardino delle delizie, Museo del Prado, Madrid 1515.

Paolo Soleri con le sue Arcologie nello spazio del 1985, come avverte Antonietta Iolanda Lima, pratica la destabilizzazione, la corrosione della gravità, la deformazione, la distorsione, la collisione … nel volersi sganciare dai legami con la terra.

Ecco comparire, allora, gli Ovum come nuove case spaziali che, reciso il legame con la terra, si pongono come nuovi strumenti per l’abitare; l’imperativo soleriano è eloquente: “costruiremo delle capsule, delle placente capaci di isolare l’interno dall’esterno”.

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Paolo Soleri, Ovum, progetto di arcologia nello spazio, 1985, plastico.

Più terrestre l’operazione che compie Ugo La Pietra che propone nel suo Sistema Disequilibrante Le Immersioni. Il suo Uomouovosfera del 1968 è inteso come “luogo di decompressione, di isolamento, da collocare nell’ambiente urbano. La cellula in metacrilato opalino, dotata di pompe di alimentazione d’aria e liquidi, comunicava grazie alla sua superficie la presenza umana dell’abitante nello spazio pubblico”. E sempre nello stesso percorso creativo propone l’Immersione nel suono, 1970, un “Contenitore sferico in metacrilato opalino trasparente con incorporati, in modo da riconoscerne i vari elementi tra di loro indipendenti: batteria, transistors, altoparlante e accensione del tutto a mezzo di una bolla di mercurio incorporata in un cilindro estraibile”; e Immersione nella luce 1970, un “contenitore sferico sempre in metacrilato trasparente con textures superficiali all’interno: grande ruota luminosa”.

Tommaso Trini, commentando i progetti così li descrive: Le “Immersioni” invitano a toglierci dal contesto che ci circonda ma lo replicano fino alla claustrofobia, offrono un “campo” diverso ma lo negano come alternativa già soluta, recuperano e impongono alcuni valori disalienanti ma sotto forma di separazione, e allorchè additano la necessità di rompere con gli equilibri acquisiti lo fanno in termini di libertà condizionata … Ciò che resta da fare, in realtà, è squilibrarsi, disadattarsi, fosse solo per una reale comprensione dei disadattamenti sociali e psicologici in cui siamo “immersi”.

Tale intendimenti non potevano non avere che un esito estensivo: La Pietra con De Pas, D’Urbino, Lomazzi e Beretta propongono, per il padiglione italiano all’Expo di Osaka del 1970, le Calotte rotanti e gonfiabili che rappresentano le estensioni urbane delle Immersioni.

Tali tensioni verso l’etereo erano state avvertite anche dal gruppo Haus Ruker&co; è il 1967 quando propongono il loro Ballon für Zwei (Pallone per due), una sfera trasparente che si affaccia sospesa e rigonfia d’aria da un appartamento viennese. In essa ci si poteva sedere nel vuoto. Una cellula gonfiabile, un’architettura pneumatica che eccedeva come un escrescenza nella pelle dell’urbe. Una protuberanza come contenitore azzardato di un possibile abitare extra: extra tempo, extra-urbe. Dove i nuovi inquilini sottratti al tempo della città tradizionale potevano sporgersi al di là di un confine dato, al di là delle mura troppo circoscritte dell’urbe. In tale luogo-sospeso, lo spazio privato e quello pubblico si annullano reciprocamente, la trasparenza dell’abitacolo lascia trasparire una sorta di democraticità abitativa e compartecipata. Faranno seguito altri progetti gravitazionali del gruppo radical, come la scala che porta ad una nuvola: la Haus am Waldsee, di Berlino. Progetti che presagiscono una dimensione ascensionale per l’architettura. Fino a in Orbit del 2013 di Tomás Saraceno, con spheres” sfere gonfiabili in PVC dal diametro di 8,5 metri;  parte del grande progetto dell’utopica  Air-Port-City: una città nuvola sospesa in aria, o di Giant Billiard (1970), dove si plasticizza lo spazio rendendolo impalpabile fino a liberare l’individuo dai vincoli gravitazionali.

Entro queste capsule altre del super vivere quotidiano, che hanno tutto il sapore di bolle di sopravvivenza mentale, e che avrebbero fatto gola a Michele Emmer e alle sue bolle di sapone, l’architettura ha trovato delle alternative extraurbane come sintomo di un malessere da sopravvivenza terrestre. Hanno sondato, come schegge futurologiche, i limiti posti dall’ambiente che li sovrastava. Schegge di senso per un futuro ancora non prossimo e impreparato.

Ma torniamo alle immagini di cui sopra: “Naturalmente la Melanconia non è da condannare, anch’essa ha i suoi meriti; è ciò che in noi fa posto all’inquietudine, anzi è l’aurea della coscienza inquieta che resiste, anche se poi, prosegue Sloterdijk, finisce per arroccarsi negli statuti di qualche rispettabile Accademia”. Diversamente dalla Melancolia di Dürer che medita su di un cubo solido e deformato, questa del de Gheyen, offre una chance alla rigidità terrestre, una bolla trasparente dove insediare i progetti a venire.

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Ugo La Pietra, Immersione, Uomouovosfera, 1968. | Ugo La Pietra, Immersione, Uomouovosfera, 1968. Distribuzione nell’urbano. | Ugo La Pietra, Immersioni urbane disequilibranti, Padiglione italiano per l’Expo di Osaka, con De Pas, D’Urbino, Lomazzi, Beretta, 1970.

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Haus Ruker&co Ballon für Zwei (Pallone per due), 1967,modello.

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Haus Ruker&co Ballon für Zwei (Pallone per due), 1967, realizzazione.

Prossima alle sfere divinatorie di cristallo usate dagli alchimisti, questa sfera accoglie i possibili e le meraviglie di un uomo diviso tra l’essere terrestre oppure Aereo come vorrebbe Dorfles .

Cosa ci suggerisce invece la rana reggente la sfera? Che essa come la terra è troppo piccola per qualunque pretesa umana, bisogna averne cura, pena il suo decadimento fisico, il distacco da essa è ancora agli albori, per ora ne possiamo gustare i possibili effetti nelle ATMO-SPHERE su descritte e che riusciamo a crearci come surrogati per un vivere nell’altrove.

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Tomás Saraceno, Orbit, 2013.

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Joe Colombo, città nucleare, 1952.

Marcello Sestito| co-writer

[1] Sul De Ludo Globi di Cusano vedi il nostro Architetture Globali, Solidi fluidi o del comporre retto e curvo, Gangemi, Roma, 2002, pp.178-179. E il secondo volume, di Sfere dedicato ai globi di Peter Sloterdijk, Raffaello Cortina, Milano 2014.

 

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