Da circa dieci anni si sente parlare di arte digitale, o per essere più internazionali di digital art. La digital art diventa un importante fenomeno dopo gli anni 2000, con la capillare diffusione dei mezzi tecnologici.
Erroneamente si parla di digital art come nuovo movimento artistico, come lo era ad esempio il Futurismo, in realtà non è così, perché l’arte digitale è solo una tecnica con la quale realizzare delle opere, non un movimento. L’uso del personal computer ha notevolmente cambiato le nostre vite, e lo ha fatto anche con l’arte. L’arte si incontra e si scontra con la tecnologia e la performance.
L’atteggiamento artistico a cui assistiamo oggi è il medesimo degli anni scorsi, ciò che cambia è quindi solo il mezzo di comunicazione. Si nota una continuità con il futurismo, il dadaismo, il collage, il costruttivismo, fino a movimenti degli anni sessanta, come l’arte cinetica. Non è quindi una novità la continua ricerca di interazione con il mezzo da parte dell’arte digitale, altri movimenti artistici già ricercavano e creavano questa interazione.
Un solco netto con il passato però c’è, e consiste in una differenza sostanziale tra le avanguardie del passato e l’arte digitale. Le avanguardie del passato avevano un atteggiamento di esclusione, o meglio di autoesclusione, perché artefici di un linguaggio esclusivo, l’arte digitale, pur essendo un’avanguardia, si basa sulla comunicazione, sull’interazione con gli spettatori, fino a far diventare lo spettatore parte integrante dell’opera. Dunque esclusione vs interazione.
Spesso ci si dimentica che non è la tecnica, o la bellezza di un opera, che la rendono interessante, ma DEVE esserci un contenuto, o quantomeno un’idea che faccia riflettere lo spettatore. L’arte ha varie forme con cui presentarsi, può essere un happening dei Fluxus, una performance, dei graffiti, la musica rock, dimostrando che non esiste una forma sacrale di opera d’arte, vista come un unicum irripetibile, ma non tutte le pratiche sono in grado di trasmettere un concetto che sia critico o positivo, reale o irreale, sul nostro essere in generale.
Molti artisti contemporanei scelgono di utilizzare il mezzo multimediale, non per creare opere “virtuali”, ma piuttosto per la trasversalità, e la facilità di amplificare un messaggio, quindi un ipotetica democraticità del loro lavoro,che permette un dialogo allargato con il fruitore, che a sua volta è in grado di diffondere questo dialogo.
Le nuove tecniche per produrre, riprodurre e diffondere a livello di massa, le opere d’arte, ha radicalmente cambiato l’atteggiamento verso l’arte sia degli artisti sia del pubblico. Ci si approccia all’arte in maniera diversa: essa non possiede più un’aurea sacrale, dal suo “hic et nunc” all’essere alla portata di tutti.
« Mi è sempre più chiaro che l’arte non è un’attività elitaria riservata all’apprezzamento di pochi. L’arte è per tutti, e questo è il fine a cui voglio lavorare. » (Keith Haring)
Muore l’aurea derivante dal lavoro manuale di un unico artista, ma nascono auree in numero elevatissimo, quante sono le esperienze dei fruitori, che prendono parte all’opera, moltiplicando il processo creativo.
L’arte riproducibile frammenta l’idea e la creazione dell’artista, ibridando tale esperienza con quella degli spettatori, l’opera diventa di tutti non solo del creatore.
La tecnologia quindi cambia solo la forma con cui l’arte si presenta a noi, diventa più coinvolgente, lo spettatore diventa attore, ma la spettacolarizzazione tecnologica deve avere un messaggio che faccia nascere una pensiero critico.
L’interattività data dalle nuove tecnologie è nulla senza una coscienza critica.
Nonostante una grande diffusione di queste nuovi mezzi tecnologici, spesso si percepisce l’arte contemporanea ed in particolar modo l’arte digitale come un arte “minore” rispetto a quella del passato. Si ha il concetto che l’artista contemporaneo sia in grado di avere delle “trovate”, più che “creare” un’opera. In Italia quest’ impressione è amplificata dal nostro importantissimo passato storico, dove spesso si lega la bravura di un artista al gesto tecnico e non al contenuto, ritornando ad un concetto della’arte precedente alla scoperta della fotografia. Questo malinteso spesso è dato dalla menzogna, difatti si nasconde la mancanza di un messaggio dietro il pretesto tecnologico, in grado di spettacolarizzare una non idea. Ma questo è un problema che ormai invade l’intera società, ci troviamo ad applaudire il non talento, a vedere gente in grado di fare nulla in televisione, viviamo una società dove regna la falsità, purché sia mascherata da una buona estetica.
di Giuseppe D’Emilio
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