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Fondazione Bruno Zevi,
Cinzia Abbate, Maria Spina, Adachiara Zevi (a cura di),
Una guida all’architettura frugale,
Iacobelli, Roma 2010, pp. 182
isbn 978-88-6252-094-2
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Il testo “Una guida all’architettura frugale” della Fondazione Bruno Zevi, a cura di Cinzia Abbate, Maria Spina e Adachiara Zevi è innanzitutto un libro necessario e lo è perché è facile perdere la bussola, nel mare delle informazioni in cui siamo immersi.
L’architettura figlia del modello consumistico la cui comunicazione viaggia sui mezzi globalizzati e globalizzanti, tende a porsi come oggetto facilmente replicabile e poco avvezzo alle declinazioni. Il veicolo di questa comunicazione sono sempre di più immagini, rimbalzate spesso uguali a se stesse e che, per l’immediatezza con cui devono essere consumate, difficilmente mostrano le vere qualità dei progetti o favoriscono la riflessione.
La critica dal canto suo sembra fare fatica a compiere scelte precise e coraggiose, anche in controtendenza, ad indicare una rotta.
La volontà degli autori è chiara fin dal titolo: il volume infatti prima di tutto una guida e la sua lettura ci fornisce una vera e propria mappa meditata, per un percorso nel tempo e nello spazio che ci accompagna alla scoperta di un’architettura preziosa. Una mappa aperta e suscettibile di ampliamenti.
La scelta dell’aggettivo frugale, se da un lato è inusuale in architettura, sembra essere il più azzeccato per definire l’architettura selezionata dai curatori. Un’architettura che viene definita in controtendenza, la cui qualità va cercata nell’attenzione al contesto geografico e sociale, nell’uso consapevole che fa delle risorse e nell’ipoconsumo. Qualità che costituiscono una risposta concreta alle future della città.
Il libro si compone di tre parti: “origini”, “precursori” e “contemporanei”.
La prima parte rende chiare le coordinate della mappa. Vengono presentate cinque architetture scelte per il loro carattere “archetipico”, rappresentative cioè di quel momento in cui la scrittura architettonica preesiste al suo essere linguaggio fatto di codici, dottrine, dogmi e regole. Un momento che come scriveva lo stesso Zevi nel suo Dialetti architettonici, “non può che essere trovato nella preistoria” (Zevi 1996).
La seconda parte è dedicata dalla descrizione di una serie di autori la cui ricerca spesso non trova spazio, se non marginalmente nelle storiografie ufficiali su cui si formano i giovani architetti: Laurie Baker, Robin Gerald Pennleigh Boyd, Eladio Dieste, Ralph Erskine, Hassan Fathy, Sverre Fehn, Richard Buckminster Fuller, Nader Khalili, Luigi Pellegrin, Leonardo Ricci e Paolo Soleri. I seppur brevi ritratti ci fanno capire quanto sia impossibile scindere l’uomo dall’architetto, le scelte di vita dalla ricerca in campo architettonico. Infatti pur nella specificità di ognuna di queste figure ciò che le unisce è evidente: il senso di responsabilità sociale dell’architettura.
Dunque la parola chiave per capire la frugalità è “etica”.
Nell’ultima parte, trovano spazio le diverse declinazioni della frugalità attraverso la rassegna di trentatre singole opere di altrettanti autori in cui “è possibile rintracciare un denominatore comune nella responsabilità sociale e ambientale, da una parte, e nella ricerca architettonica dall’altra”.
L’uso di materiali locali o provenienti da processi riciclo, il risparmio energetico, l’autocostruzione e il coinvolgimento degli abitanti nel processo costruttivo, le caratteristiche ricorrenti di queste architetture.
Una idea sembra sottendere la stesura di questa guida: la frugalità come fenomeno emergente potrebbe espandersi e arrivando ad incidere dal basso per restituire qualità a tutti quei territori caratterizzati “dall’anonima produzione edilizia di scarsa qualità spaziale”, riuscendo dunque laddove la produzione architettonica “mainstream” sembra fallire.
Davide Motta|nITro