Nel cuore dell’Alabama, un gruppo di studenti costruisce case per i poveri. Lo fa con materiali di recupero, idee radicali e mani sporche di fango. Non è beneficenza: è architettura, educazione, un gesto di giustizia.
Nel 1993, due docenti dell’Auburn University, Samuel Mockbee e Dennis K. Rut, scelsero Hale County, territorio tra i più poveri degli Stati uniti, come scenario per dar vita a un esperimento tanto audace quanto necessario: Il Rural Studio. In un contesto segnato da segregazione razziale, isolamento e povertà cronica, l’architettura diventava, per la prima volta in modo sistematico, uno strumento di riscatto sociale.
Mockbee, visionario e provocatore, parlava di “architettura decente” come risposta etica al divorzio tra professione e responsabilità civile. “Gli architetti sono diventati i cagnolini dei ricchi”, diceva senza mezzi termini. Il suo obiettivo era ribaltare quella logica, cominciando dalla formazione: formare architetti cittadini, capaci di servire chi è rimasto ai margini.
Come ricorda il professor Antonino Saggio nel suo articolo “Rural Studio: Sperimentazioni senza tempo” (1)(2)pubblicato su ON/OFF MAGAZINE nel 2013, “Mockbee irrompe nel paesaggio dell’Alabama con un’idea semplice e radicale: fare e non parlare, costruire veramente, mostrare che l’architettura serve, risolve, innalza.”
A Newbern, sede del Rural Studio, non ci sono teatri, gallerie o grattacieli. Ci sono case da sistemare, strade da percorrere a piedi, persone da ascoltare. Lì gli studenti progettano e costruiscono con – non per – le persone. Ogni casa, ogni centro comunitario, ogni struttura pubblica nasce da un dialogo.
La bellezza delle opere del collettivo è una bellezza “resistente”, fatta di lamiere, balle di fieno, pneumatici, parabrezza riciclati, moquette dismessa. Non è un vezzo postmoderno: è un modo per reinventare l’uso dei materiali in base alle risorse locali, creando una poetica dell’essenziale.
Case come la Bryant House, intonacata su una struttura di fieno pressato, o la Yancey Chapel, costruita con pneumatici riempiti di terra, raccontano questa tensione continua tra necessità e invenzione. “Scegliete il più bello, non il più teorico”, ammoniva Mockbee.
Questo esperimento ha cambiato anche la didattica dell’architettura. Gli studenti non si limitano a progettare: vivono nei cantieri, maneggiano martelli, confrontano schizzi con realtà impreviste. Costruiscono davvero. Ogni errore è un’occasione di apprendimento. Ogni giunto sbagliato insegna più di cento rendering.

L’architettura, destinata a rispondere a esigenze sia formali che funzionali, dimostra di poter essere molto più di un semplice “mezzo di espressione estetica”. Si rivela infatti come una vera leva per la trasformazione sociale, per la rigenerazione delle comunità e per il miglioramento della qualità della vita.
Andrew Freear, l’architetto britannico che ha raccolto l’eredità di Mockbee dopo la sua morte nel 2001, ha approfondito questo approccio. Con lui, il laboratorio è diventato più stabile, più preciso, più ancorato alla comunità. Non si tratta di dare forma a utopie, ma di rispondere a esigenze reali con risorse limitate e senso di responsabilità.
Con oltre 150 progetti realizzati, il laboratorio ha creato nel tempo un vero e proprio atlante costruito di architettura sociale. Ogni struttura è un capitolo di un manuale vivente. Un manuale che non insegna solo a costruire, ma a capire un luogo. Ciascuna costruzione è la prova della relazione tra studenti, insegnanti e abitanti
La filosofia alla base di ogni intervento non è neutrale. È dichiaratamente politica. Non partitica, ma schierata: dalla parte di chi ha meno. Ogni progetto è un gesto di equità, ogni costruzione un’azione collettiva. Non esiste committenza passiva. Le famiglie, le amministrazioni locali, le associazioni partecipano al processo, lo guidano, lo fanno proprio.
In questo senso, è anche un laboratorio civico: un luogo dove si pratica la co-progettazione, la fiducia, l’autonomia. Dove costruire una casa significa anche ricostruire un’identità e un senso di appartenenza.

Alla morte di Mockbee nel 2001, molti temevano che il Rural Studio si spegnesse con lui. Non è accaduto. Freear ha trasformato il progetto in un organismo vivo, capace di adattarsi e innovare senza perdere il legame con il suo fondatore. Con l’arrivo di Elena Barthel, docente e progettista, il laboratorio ha esplorato nuove direzioni: agricoltura sostenibile, autocostruzione alimentare, ecologia dei piccoli gesti.
Infatti la sostenibilità, oggi, non è solo edilizia ma anche alimentare, sociale ed educativa. È un campo da coltivare, letteralmente e metaforicamente.
Il concept alla base dell’esperimento non è un’utopia da esportare ma un metodo da imparare. Non si può replicare altrove con la stessa forma, ma con lo stesso spirito sì: ascolto, concretezza, rispetto, creatività.

Oggi è un punto di riferimento internazionale, studiato da università e istituzioni, ma resta piccolo, umile e radicato. “Non è il Rural Studio di Sambo. Non è il mio, è della comunità che lo nutre ogni giorno” dice Freear.
L’eredità di Mockbee è viva, non è una retorica. È un cantiere che continua, ogni giorno, sotto il sole caldo dell’Alabama, tra polvere rossa e sogni concreti.
È un monito per chi costruisce grattacieli vuoti, un invito per chi progetta senza guardare negli occhi i propri utenti, un’occasione, per l’architettura contemporanea, di tornare a essere necessaria.
“La bontà è più importante della grandezza. L’architettura deve essere un gesto di compassione.”
— Samuel Mockbee
di Chiara Corsetti | nITro
Bibliografia
- Rural Studio at Twenty, Andrew Freear, Elena Barthel, Andrea Oppenheimer Dean, Princeton Architectural Press, 2013
- Proceed and Be Bold, Andrea Oppenheimer Dean, Princeton Architectural Press, 2005
- Antonino Saggio, Rural Studio: Sperimentazioni senza tempo, ON/OFF MAGAZINE, 2013
- Pubblicazione originaria su: Costruire, Editrice Abitare Segesta, Milano 2002. Direttore Leonardo Fiori – Antonino Saggio, L’eredità di Sambo, in “Costruire”, n. 234, novembre 2002
- Pubblicazione su: Coffee Break”, Interpretazioni critiche in rete, Firenze 2003 – Antonino Saggio, Vivere sotto un tetto. Mockbee e il Rural Studio, in “Coffee Break”, Interpretazioni critiche in rete, luglio 2003