Su ciò che resta: terroir, rovina, progetto
1. Il terroir come rovina generativa

Ogni progetto nasce da un’incompletezza. Ogni luogo, prima ancora di essere disegnato, è un palinsesto: una superficie fragile e stratificata su cui si sono depositate voci, pratiche, memorie. È qui che si manifesta la natura profonda del terroir: non semplicemente come qualità agricola della terra, ma come sedimentazione culturale. Il terroir è ciò che resta. È il filtro temporale di un luogo, la sua capacità di trattenere, deformare, e restituire la storia in forme nuove.
Piranesi, nelle sue celebri incisioni, non rappresentava le rovine per registrare la loro fine, ma per moltiplicarne le possibilità. Le sue Carceri d’Invenzione o le vedute di Roma non sono documenti, sono trasfigurazioni. Tracce reali si intrecciano con visioni architettoniche che non sono mai esistite ma che, nel loro slancio, aprono scenari. La rovina, per Piranesi, è generativa. Un frammento, un arco, una colonna: tutto diventa materia di nuova costruzione. Il passato si fa vivo nel presente e prefigurazione del futuro.
È su questo piano che si muove il lavoro di Marco Navarra. Non un progettista di forme, ma uno scultore di relazioni. Le sue architetture, soprattutto quelle costruite nei territori marginali della Sicilia interna, sembrano sempre contenere la consapevolezza che nulla inizia da zero.
Il progetto del Parco Lineare di Caltagirone è una dichiarazione in questo senso: non costruisce un’opera nuova, ma trascrive con cura e ascolto una storia già presente. La rovina della ferrovia dismessa non viene rimossa né monumentalizzata, ma riletta come struttura poetica, come occasione per riscrivere un paesaggio.
2. Il progetto come trasposizione

Trasporre significa portare qualcosa altrove, cambiarle forma, senza tradirne l’essenza. Nel lavoro di Marco Navarra, il progetto è proprio questo: un atto di ascolto che si traduce in trasformazione. L’architetto non agisce come demiurgo, ma come interprete: legge le stratificazioni di un luogo, ne coglie le tensioni, i vuoti, le tracce residue e su queste costruisce un’altra possibilità. Non una copia, non un gesto esibito, ma una scrittura che si sovrappone alla precedente.
L’architettura, in questa visione, non è forma ma condizione. Non è oggetto, ma medium. E l’architetto non è colui che inventa dal nulla, ma chi restituisce voce a ciò che sembrava tacere. Navarra prende in carico il reale per trasporlo in un piano di esistenza differente, visionario ma profondamente ancorato alla materia.
Nel Parco Lineare di Caltagirone, il tracciato abbandonato non è sfondo né rovina da conservare. È testo attivo. I gesti architettonici sono minimi, quasi invisibili, ma carichi di senso: il nastro d’asfalto che segue l’andamento dei binari, i caselli riabitati come presidi locali, le soglie che riemergono lungo il cammino. Il progetto non rappresenta il paesaggio: lo traduce, gli cambia forma per renderlo ancora leggibile e praticabile.
In questa trasposizione, l’architettura si fa cura. Cura del contesto, ma anche del futuro. E la mano che progetta è consapevole di camminare in punta di piedi su un terreno che è già stato vissuto, lavorato, abitato.
3. Fragilità, scarti e costruzione marginale

Là dove la città si dissolve e l’urbano perde il suo ordine, Navarra trova terreno fertile. I suoi progetti nascono dove altri vedono il fallimento, l’abbandono. Il terroir che interessa a lui è quello segnato da tracce fragili, usurate, irregolari. La fragilità non è un ostacolo, è la condizione per generare forme di attenzione nuove.
Nel Parco Lineare, la fragilità è ovunque: nei binari arrugginiti, nelle stazioni vuote, nei ponti sospesi che non portano più treni. Ma proprio in questi elementi Navarra trova un lessico. Li rigenera senza snaturarli, li accompagna verso una nuova funzione. Il paesaggio stesso, segnato dall’incuria e dalla lentezza, viene riscritto come spazio di possibilità. L’architettura, qui, non è protagonista. È dispositivo minimo, strumento di interpretazione. L’infrastruttura diventa testo da leggere, e l’architetto un editor che lavora per sottrazione.
Come in Piranesi, anche in Navarra la rovina non è il simbolo della decadenza, ma del potenziale. Il frammento non viene idealizzato, ma rielaborato per far emergere un’altra realtà: quella che il presente non sa più vedere.
4. Abitare il tempo, costruire relazioni

Uno dei tratti più radicali del Parco Lineare è la sua temporalità. In un mondo dominato dalla velocità, dal consumo del suolo, dalla frenesia urbana, il parco propone un’altra esperienza del tempo: lenta, stratificata, ripetitiva. Si cammina lungo un tracciato che fu pensato per il passaggio rapido dei treni e che oggi diventa luogo per rallentare.
Navarra costruisce così un progetto che è anche pedagogia: il visitatore impara, passo dopo passo, a guardare il paesaggio da un altro punto di vista. Si riappropria di uno sguardo, di un ascolto. Le vecchie stazioni, trasformate in presidi culturali o in punti di sosta, scandiscono questo tempo come capitoli di un racconto aperto.
Ma questo tempo non ha senso se non è condiviso. La vera materia dell’architettura di Navarra è la comunità. I luoghi che progetta esistono davvero solo nel momento in cui sono abitati. Il Parco Lineare nasce per essere vissuto, attraversato, usato. L’architettura non è un oggetto da guardare, ma una condizione da attivare. Non importa quanto minima o precaria sia la costruzione: ciò che conta è la relazione che genera. E proprio in questa sua discrezione, in questa capacità di non imporsi ma di accadere, risiede il carattere profondamente lo-fi del suo approccio. Una sensibilità che abita l’imperfezione, che rende lo spazio accessibile e aperto all’invenzione.
5. Riaprire luoghi, riattivare possibilità
Il progetto non è mai una promessa di eternità. Al contrario: se accetta la propria condizione transitoria, può diventare uno strumento di consapevolezza. Le architetture di Navarra non si propongono come icone, ma come dispositivi narrativi.
Il terroir, in questa prospettiva, non è altro che la disponibilità a lavorare con ciò che esiste. Con i margini, con i frammenti, con ciò che resiste. Il Parco Lineare di Caltagirone non è un parco nel senso tradizionale. È una sezione del tempo, un montaggio di storie, un cammino tra rovine fertili. Un luogo in cui l’architettura, non pretende di dire l’ultima parola, ma solo di indicare che, anche nelle macerie, esiste una possibilità di futuro.
di Martina Cristaudo | nITro
Bibliografia
- Studio NOWA – Navarra Office Walking Architecture: www.studionowa.com
- Marco Navarra, Abiura dal paesaggio. Architettura come trasposizione, LetteraVentidue
- Marco Navarra (a cura di), Lo-fi Architecture. Architecture as Curatorial Practice, LetteraVentidue